2017-01-25 14:24:00

Usa: muro con Messico non risolve problemi sicurezza e traffici illegali


“Un grande giorno per la sicurezza nazionale. Tra le tante cose costruiremo il muro”, così ha twittato il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, annunciando la firma per sbloccare i fondi necessari per completare la barriera lungo il confine con il Messico. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Gregory Alegi, docente di Storia delle Americhe all’Università Luiss di Roma.

Un muro che in realtà già esiste dal 1994, la cui costruzione è iniziata alla presidenza di Bill Clinton e proseguita sotto quella di Barak Obama. Su 3140 km di frontiera con il Messico, circa 1000 km sono già presidiati con barriere fisiche lungo aree urbane e disabitate, da migliaia di agenti. Migliaia gli arresti e decine i morti ogni anno tra quanti cercano di passare clandestinamente il confine, messicani ma anche guatemaltechi, honduregni, salvadoregni e nicaraguensi. Qualcuno lo ha chiamato il “muro della vergogna” ma la pubblica opinione sembra averlo scoperto solo durante la campagna elettorale di Trump, come conferma il prof. Gregory Alegi:

R. – Il problema della sicurezza della frontiera con il Messico sia per gli aspetti di immigrazione sia per quelli forse più pericolosi di traffico di esseri umani e traffico di stupefacenti c’è da tempo. Ed è per questo che da tempo quel confine è super-pattugliato e su molti larghi tratti ci sono sistemi di protezione: in alcuni casi di sensori, in altri di muro vero e proprio. Ed è per me un ‘mistero’ che in campagna elettorale il Partito democratico abbia lasciato a Trump campo libero su questo tema senza ricordare che larghi tratti sono chiusi già dall’era Clinton.

D. - Quindi il problema è stato sottaciuto?

R. - C’è un problema di percezione. Come in qualsiasi campagna elettorale e in qualsiasi Paese è da questa percezione che nasce il desiderio di una chiusura fisica del confine; non senza contraddizioni, perché poi ci sono invece delle aree, dei gruppi che sono considerati desiderabili o degni di aiuto per i quali vale invece il meccanismo contrario. Uno degli ultimi provvedimenti presi da Obama fu quello di rimuovere la pregiudiziale a favore dei rifugiati cubani, che se riuscivano in qualche modo a mettere piede negli Stati Uniti godevano automaticamente del permesso di soggiorno e di una via privilegiata per diventare cittadini americani. Mentre quelli sudamericani, latinoamericani, non solo messicani, anche quando riescono ad entrare poi devono affrontare una lunga esistenza da clandestini senza documenti.

D. – Ma ci sono possibilità che davvero questo provvedimento poi garantisca la sicurezza?

R. – Ci può essere qualche ragionevole dubbio. Il confine già oggi è ricco di tunnel e di passaggi, di varchi costruiti anche in maniera piuttosto sofisticata per aggirarlo. E’ una misura da un lato psicologica e dall’altro politica perché vuole mostrare come il nuovo Presidente mantenga subito le sue promesse. Da questo punto di vista parla all’elettorato di Trump senza rimuovere le cause di questa immigrazione clandestina che presumibilmente potrebbe anche aumentare una volta che dovessero andare in porto le iniziative per ridurre gli investimenti americani in Messico. Quindi riducendo l’occupazione, riducendo la crescita in Messico, i messicani potrebbero avere più stimolo a tentare la fortuna negli Stati Uniti piuttosto che rimanere a casa propria.

D. – Trump ha anche annunciato una serie di provvedimenti restrittivi verso gli immigrati siriani e di altri Paesi, in particolare Iraq, Iran, Yemen, Libia, Sudan, Somalia. Come a dire al resto del mondo: sono problemi vostri! Però è pure vero che lasciare svuotare questi Paesi non basta e servono politiche di pacificazione efficaci…

R. – Ridurre e chiudere, in qualche modo controllare i canali di accesso legali, è anche in questo caso una decisione che parla alla psicologia dell’elettore trumpiano che ormai vede nel mediorientale il terrorista. A prescindere dalla valutazione dei casi sembra una resa, in qualche modo una denuncia indiretta della capacità delle strutture di sicurezza americane - FBI, etc. - di valutare, individuare, comprendere queste dinamiche piuttosto complesse. Quindi non è una soluzione anche perché un attacco agli Stati Uniti può avvenire fuori dai suoi confini, perché aziende, interessi e presenze diplomatiche americane sono sparse ovunque. Quindi non credo che sia facile tradurre automaticamente in sicurezza una misura che per come è annunciata contiene più di un tono di pregiudizio.








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