2017-01-26 13:23:00

Somalia: ancora violenze al Shabaab. Attesa per nuovo Presidente


Non si ferma la violenza degli estremisti islamici al Shabaab in Somalia: almeno 28 le ultime vittime, mentre il Paese attende l’elezione del nuovo capo di Stato, fissata - dopo numerosi rinvii - per il prossimo 8 febbraio. Il servizio di Giada Aquilino:

Una dinamica ormai tristemente consueta: un attacco con bombe e blitz armati in un hotel frequentato da politici e uomini d’affari internazionali. È successo ancora una volta a Mogadiscio: un commando di miliziani al Shabaab ha fatto esplodere un’autobomba davanti al cancello dell’albergo Dayah della capitale somala, com’era successo mesi fa pure all’hotel Nasa-Hablod o all’Ambassador. Dopo una seconda deflagrazione, gli estremisti islamici hanno fatto irruzione nell’edificio, uccidendo decine di persone, tra cui due capi tribù. A mettere fine all'attacco è stato l'intervento delle forze speciali somale. Liliana Mosca, docente di Storia dell’Africa all’università Federico II di Napoli:

“Gli attacchi agli hotel sono un po’ in linea con tutta la politica di al Shabaab che, al di là della connessione con al Qaeda, è una organizzazione terroristica molto somala, nella sua ideologia e nei suoi scopi. Oramai da tempo è lontana dai centri urbani, è ritirata nelle campagne, nelle aree rurali. Un modo per presentarsi sulla scena internazionale è dunque quello di attaccare luoghi di riunione di stranieri, di giornalisti, di turisti se ve ne sono, di organizzazioni internazionali. Un risalto alla propria attività può essere dato solo in questo modo”.

Il Paese vive una difficile transizione politica. Il prossimo 8 febbraio il Parlamento eleggerà un nuovo Presidente, dopo vari tentativi slittati dall’agosto scorso per instabilità, insicurezza, lotte intestine:

“Sono slittati per le ragioni per le quali erano falliti anche precedenti governi: per corruzione, per mancanza di soldi, erosione e poca credibilità del potere. E’ vero che queste elezioni sono state, in realtà, pagate da organizzazioni internazionali, soprattutto sponsorizzate da Stati Uniti e Regno Unito, ma purtroppo è anche vero che c’è grande violenza. E poi ci sono stati grossi ritardi”.

Ad eleggere il nuovo presidente sarà un Parlamento scelto soltanto da 14 mila elettori delegati su 12 milioni di abitanti, anche se in prospettiva, per il voto del 2020, si parla di suffragio universale:

“Bisognerebbe, innanzi tutto, fare le liste elettorali, che però sono una spesa enorme! Come si può arrivare nelle campagne, soprattutto nelle regioni dove ancora è presente al Shabaab? Questo ‘soi-disant’ governo è in fondo un governo dei centri urbani e null’altro. Quindi è difficile anche convincere la popolazione ad andare a votare. Ma poi, com’è successo nel 2011, il Paese sta nuovamente andando incontro a grande siccità, a mancanza di cibo, di acqua, di medicinali. Tutti continuano a parlarne come di un ‘failed State’, di uno Stato fallito. Il tentativo che è stato fatto di tenere queste elezioni vuole levare di dosso a Paese questa etichetta, ma sarà veramente molto difficile”.

A mancare, in questo quadro generale, è la voce delle realtà locali. Ne è convinto mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, intervistato da Sarah Bakaloglou:

“La situazione in Somalia rimane molto instabile. Penso non sia stato fatto molto a favore della popolazione somala. I vari governi di transizione – federali ed altri – di questi ultimi dieci anni hanno avuto un certo sostegno da parte della comunità internazionale, ma non tanto a livello della comunità nazionale. L’impressione è stata che i vari attori politici si siano preoccupati della loro sopravvivenza politica o economica, piuttosto che del bene della popolazione. Allora probabilmente il lavoro da fare è quello di rafforzare le realtà locali; abbiamo degli esempi come il Somaliland, il Puntland, in parte il Jubaland. Queste realtà sono più vicine alla realtà della loro popolazione e quindi bisognerebbe sviluppare questo senso dell’autorità locale che dovrebbe avere il ruolo di coordinare gli sforzi, per far rinascere un’istituzione statale, partendo quindi non tanto dall’alto, ma dalla base”.








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