2017-01-27 07:42:00

Muro Usa-Messico. Peña Nieto annulla incontro alla Casa Bianca


Bisogna costruire ponti, non muri. Così la Conferenza episcopale degli Stati Uniti risponde alla decisione del Presidente Trump di completare il muro con il Messico. Intanto il Presidente messicano Peña Nieto ha annullato l'incontro previsto alla Casa Bianca per martedì prossimo. Massimiliano Menichetti:

Sfruttamento e sofferenza. E’ questo che porterà secondo i vescovi statunitensi il completamento del muro, innalzato durante la presidenza Clinton nel 1994, con il Messico deciso dal presidente Trump. Per l’episcopato americano, che invita a costruire ponti e non barriere, la “vita degli immigranti” sarà messa “in pericolo” e si incrementeranno “trafficanti e contrabbandieri”, “destabilizzando molte comunità che vivono pacificamente lungo il confine”. Sulla stella linea i vescovi messicani. Intanto sale la tensione tra i due Paesi. Il Capo si Stato messicano Peña Nieto, ha annullato l'incontro previsto alla Casa Bianca per la prossima settimana. Cerca di buttare acqua sul fuoco Trump, che dalla conferenza dei parlamentari repubblicani a Filadelfia, precisa: “la cancellazione dell'incontro" è stata concordata. Su tutto però rimane il “no” di Pena Nieto al pagamento della barriera tra i due Stati come invocato dal magnate americano che ha subito annunciato l'ipotesi di dazi doganali del 20% sulle merci messicane per finanziare proprio la barriera. In questo contesto il Brasile mostra preoccupazione e si registra l’irrigidimento di Cuba. Intanto sul internet sono diventai virali gli hashtag #NoBanNoWall e #RefugeesWelcome.

In questo quadro c’è chi parla di crisi diplomatica aperta. Ai nosti microfoni il prof. Loris Zanatta, esperto di America Latina:

R. – La crisi diplomatica c’è, perché l’incontro tra i due Presidenti è stato sospeso; è anche una crisi prevista: era ipotizzabile che Trump avrebbe dato seguito a quello che è stato uno dei suoi simboli, in campagna elettorale, e cioè il famoso muro. Detto ciò, io aspetterei a trarne conseguenze definitive, nel senso che ai fatti poi bisogna vedere come andrà avanti questo conflitto, perché il Messico è il Paese più importante per gli Stati Uniti, e che lo capisca Trump o che glielo facciano capire i suoi consiglieri, penso che a breve ci si renderà conto che destabilizzare il Messico è l’ultima cosa che convenga agli Stati Uniti.

D. – Ma dunque, potremmo assistere a una marcia indietro reale, e quindi non si proseguirà il muro già costruito da Clinton nel 1994?

R. – Benché non sia immaginabile una marcia indietro, che ovviamente lo esporrebbe a una figuraccia internazionale, mi piace pensare che al di là degli slogan e delle grandi battute, che poi fanno effetto sui media internazionali, piano piano con il governo del Messico si arriverà a qualche forma di compromesso, anche perché in Messico presto si vota e l’eventualità di avere in Messico la vittoria di un fronte visceralmente nazionalista e anti-americano francamente non vedo come possa convenire agli Stati Uniti …

D. – Professore, ci sono precedenti storici in questo senso?

R. – Questo è difficile da dire, perché personaggi come Trump non li abbiamo mai visti e quindi siamo davanti a una novità storica. Il muro, finora, è un muro parziale; in parte ha funzionato, in parte è facilmente aggirabile: molto dipende dalla volontà politica del governo degli Stati Uniti. Il muro eliminerebbe l’emigrazione? No. La renderebbe più pericolosa, ci sarebbero più morti ma non eliminerebbe l’emigrazione. Tra l’altro, benché si parli tanto del caso messicano, forse sarebbe bene che l’opinione pubblica sapesse che negli ultimi due-tre anni, in realtà, sono molti più i messicani rientrati dagli Stati Uniti in Messico che quelli andati dal Messico negli Stati Uniti. Viceversa, nessuno parla – per esempio – dei migranti cubani, che continuano a scappare da Cuba in grandissimo numero, che sono sparsi per tutti i Paesi dell’America Latina, in particolare a Panama e che ora si trovano – con il cambiamento della legge introdotto da Obama prima di andarsene – davanti alla difficoltà di accedere al territorio degli Stati Uniti. E’ un problema che riguarda un po’ tutti i Paesi latinoamericani, non solamente il Messico.

D. – Lo ricordiamo: la legge a cui si riferisce è quella che riconosceva automaticamente la cittadinanza americana, una volta toccato il suolo …

R. – Sì in spagnolo: Pies secos, pies mojados.

D. – La preoccupazione del Brasile, l’attendismo del Cile, Cuba dice: “Non accetteremo diktat”: cosa sta succedendo in quell’area?

R. – Lasciando a parte il caso cubano, che è a se stante e per il quale è difficile parlare di irrigidimento di Cuba dal momento che Cuba è sempre stata molto rigida, ma negli altri Paesi dell’America Latina la preoccupazione per queste politiche di Trump è una preoccupazione che antecede la sua elezione. Ciò che preoccupa sono essenzialmente due cose. Una è di tipo commerciale, e cioè l’apertura commerciale che ha giovato molto ai Paesi latinoamericani negli ultimi 20 anni; quindi, la chiusura protezionista degli Stati Uniti produrrebbe danni enormi. La seconda conseguenza è più di tipo politico, perché ovviamente se il messaggio che arriva dagli Stati Uniti non è un messaggio favorevole alla liberaldemocrazia che si è così tanto diffusa in America Latina, c’è da ipotizzare che tutti i governi sinceramente liberaldemocratici saranno i primi a patirne. Infatti, paradossalmente, di questa politica di Trump, questo nuovo nazionalismo di Trump potrebbero giovarsi quei governi come quello venezuelano, quello cubano che viceversa sulla chiusura e sull’anti-americanismo hanno sempre scommesso.








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