2017-02-09 14:38:00

La sorte dei Rohingya, gente pacifica che viene perseguitata


Più di mille persone appartenenti alla comunità musulmana dei Rohingya sarebbero state uccise in Myanmar da quando, nell'autunno scorso, è iniziata una nuova operazione dei militari birmani che la comunità internazionale - sulla base di denunce di Onu e Ong - addita come “pulizia etnica”. Le autorità del Paese asiatico ridimensionano il bilancio, parlando di un centinaio di vittime in scontri con la guerriglia locale. Il servizio di Giada Aquilino:

I Rohingya sono fratelli e sorelle “cacciati via dal Myanmar”, gente “pacifica” che soffre “da anni”: sono stati “torturati, uccisi”, semplicemente perché portano avanti “le loro tradizioni, la loro fede musulmana”. Così il Papa all’udienza generale del mercoledì, parlando di questa popolazione di oltre un milione di persone, di lingua affine al bengalese, che vive nel nord dello Stato birmano occidentale di Rakhine. Paolo Affatato, responsabile della redazione Asia dell’agenzia Fides:

“Il governo non li considera cittadini, bensì immigrati illegali e cioè non hanno uno status di cittadinanza. C’è quindi un sorta di discriminazione istituzionalizzata che dura da decenni: non possono avere terre, non possono avere più di due figli, devono chiedere un permesso per viaggiare… Sono una minoranza che non viene considerata parte dell’attuale Myanmar. Questo ha creato da sempre una sorta di emarginazione e poi anche tensioni sociali e religiose rinate dopo il risorgere di movimenti nazionalisti di marca buddista, che hanno acuito questa situazione di vera e propria persecuzione. Alcuni rapporti recenti parlano anche di pulizia etnica, di genocidio nascosto”.

La maggior parte della popolazione del Myanmar considera i Rohingya migranti provenienti illegalmente dal Bangladesh e le autorità li accusano di aver prodotto una milizia terrorista. Nelle ultime ore, fonti Onu citate dalla stampa internazionale hanno denunciato che oltre mille Rohingya sono stati uccisi da quando, nell'autunno scorso, è iniziata una nuova offensiva dei militari birmani. Ma si parla di altre violazioni:

“Possiamo rifarci sicuramente all’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani. Sono state documentate barbarie veramente di grande disumanità: si parla di brutalità commesse dalla polizia birmana in operazioni di rastrellamento, distruzione di villaggi, spostamento coatto della popolazione, uccisione di adulti e bambini, sparizioni e stupri. Il tutto compiuto con una persistente immunità e impunità delle forze di sicurezza ed anche di movimenti nazionalisti”.

Centinaia di migliaia di persone si sono rifugiate in particolare in Bangladesh, le cui autorità puntano a trasferire i profughi su un'isola costiera disabitata e sottosviluppata nel Golfo del Bengala, misura fortemente criticata anche dall'organizzazione umanitaria Human Rights Watch:

“Parliamo di circa 100 mila Rohingya che dal 2012 hanno lasciato il Paese. Altri 150 mila sono rifugiati in campi profughi che si trovano nell’area di confine fra Bangladesh e Myanmar. Però ricordiamo che anche solo due anni fa c’era stato un grande esodo che aveva ricordato il fenomeno dei cosiddetti “boat people”, con tentativi di approdo in Paesi vicini come Thailandia, Indonesia, Malaysia e respingimenti. In Bangladesh c’è stata sicuramente la maggior parte dell’esodo. Naturalmente il Paese è anche in una situazione di difficoltà per il gran numero di cittadini che hanno varcato la frontiera. Certo, quella di cui politicamente si sta discutendo ora è una sorta di segregazione perché questi profughi sarebbero trasferiti su un’isola del Golfo del Bengala, l’isola di Hatiya, e quindi di fatto confinati in una sorta di ghettizzazione”.

La questione dei Rohingya, sottolineano osservatori internazionali, rischia di pesare sulla giovanissima democrazia birmana e sulle spalle della Nobel per la pace Aun San Suu Kyi:

“Questa democrazia è giovane, fragile. Si trova ad affrontare una questione come questa crisi che ha radici molto antiche. Ci vorrebbe sicuramente un atto di coraggio e una forte presa di posizione dell’attuale governo birmano, fermo restando che il ‘lavoro sporco’ finora compiuto nei confronti dei Rohingya l’hanno compiuto le forze dell’ordine. Quindi c’è anche il delicato rapporto fra l’attuale esecutivo e le forze dell’ordine che, ricordiamo, hanno tenuto il potere nel Paese: è stata una dittatura militare quella che fino a pochi anni fa ha guidato il Myanmar. Quindi sicuramente è una questione molto complessa anche per il governo birmano, un terreno scivoloso e rischia di costituire un tallone di Achille per l’attuale esecutivo”.








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