2017-02-10 11:41:00

Duomo di Milano: anteprima del film sul cardinale Martini


Questa sera il Duomo di Milano si apre per accogliere, alle ore 19, la speciale anteprima del film “Vedete, sono uno di voi”, prodotto da Istituto Luce–Cinecittà, che Ermanno Olmi e Marco Garzonio hanno dedicato al cardinale Carlo Maria Martini e ai suoi ventitré anni alla guida della Diocesi lombarda. Il servizio di Luca Pellegrini:

Era il 10 febbraio del 1980 quando il nuovo arcivescovo di Milano, nominato da San Giovanni Paolo II, faceva il suo ingresso nella Diocesi. Fu una lezione di stile, un messaggio per il suo futuro di pastore. Commentò con semplicità e profondità la fonte cui avrebbe ispirato tutta la sua azione pastorale, ossia il brano del Vangelo di Luca che parla della pesca miracolosa e della chiamata dei discepoli: “Sulla tua parola getterò le reti”. A trentasette anni da quell’evento il film di Ermanno Olmi “Vedete, sono uno di voi” viene dunque proiettato proprio nel Duomo che ha accolto migliaia di fedeli e non credenti per l’ascolto della Parola e le riflessioni del cardinale, rinnovando così con il cinema l’abbraccio tra l’uomo Martini e la sua Chiesa. Marco Garzonio è il coautore del soggetto e della sceneggiatura. Gli abbiamo chiesto perché per un film dedicato alla figura del cardinale Martini sia stato scelto proprio questo titolo:

R. – Perché è stato capace di interpretare il momento, quello che Papa Giovanni chiamava segno dei tempi. E’ stato capace di cogliere i bisogni delle persone, di quelle che lui incontrava, perché sono i fedeli della Chiesa, ma anche di tutte le altre, a cominciare per esempio già nel lontano 1982 dagli immigrati. E’ stato capace, inoltre, di cogliere le questioni emergenti che la politica, che l’economia ancora non vedeva. Nel 1981 i vescovi lombardi sotto la presidenza di Martini pubblicarono un documento, affrontare la crisi: cioè, c'erano già i germi di quello che sarebbe successo dopo. Quindi Martini ha colto i segni di quello che stava accadendo, si è posto vicino in questioni drammatiche, vedi il terrorismo, in questioni di grandi trasformazioni, vedi la crisi della politica che ha portato a Tangentopoli e, all’interno della Chiesa, alla dimensione ecumenica.

D. - Qual è stato il suo contributo alla realizzazione del film?

R. – Il mio contributo, soggetto e sceneggiatura, ovviamente, insieme a Ermanno Olmi. Tutto nasceva da una lunga storia. Io ho incominciato a seguire il cardinale Martini professionalmente per il Corriere della Sera fin dagli inizi e da allora ho continuato a seguirlo. Ho avuto poi l’opportunità di avere scambi sempre più frequenti e quando è rientrato in Italia nel 2008, perché il parkinson incalzava, ho potuto stare un po’ con lui, sentirlo, accompagnarlo in questa fase di sofferenza, di declino, ma sempre, sempre lucidissimo. E poi ho ricevuto un grandissimo dono - che io chiamo un autentico dono del Signore - di essere al suo capezzale nelle ultime ore. In quell’occasione io ho scritto una lunga poesia che apre con la stanzetta in cui Martini a poco a poco si spegne e il film incomincia con lunghe riprese di quella stanza: quella stanza diventerà anche il leitmotiv dell’intero film per dire come dalla morte comincia una nuova vita dal punto di vista della fede ma comincia anche la rinascita dal punto di vista della responsabilità che noi ci assumiamo con chi muore per portare avanti il suo messaggio.

D. - Ci sono i fatti della storia, nel corso dei quali Martini ricoprì un ruolo di primo piano. Ma il film riesce a cogliere anche il percorso interiore del sacerdote?

R. – Assolutamente sì, tanto è vero che, con una soluzione artistica geniale, la voce narrante è la voce di Olmi. Dà proprio l’impressione di questa identificazione tra il poeta regista e quest’uomo che è come se riflettesse nel momento della sua fine su tutta la sua storia. Il film è un insieme, è un montaggio di documenti, di cronache. Questo lungo percorso è il percorso visivo ma, man mano, emerge l’itinerario spirituale, l’interiorità profondissima di Carlo Maria Martini.

D. - Quale secondo lei il momento più emozionante?

R. – Non esiste un momento solo, esistono tanti momenti. Sono i momenti in cui vengono fuori le cose più tragiche e nello stesso tempo diremmo più di redenzione di questa città e di questo nostro tempo. C’è la scena delle carceri: sappiamo che le carceri sono state uno dei punti forti di Martini, della sua pastorale; c’è l’accenno evidente alla vicenda dei terroristi; ci sono le periferie, queste periferie che sono di Milano e - direbbe oggi Papa Francesco - sono le periferie del mondo, che sono le periferie degli edifici della desolazione ma sono anche le periferie della nostra anima.

D. - Si è spesso evocato lo spirito profetico che ha animato la vita di Martini. Secondo lei il film lo avvalora?

R. – Secondo me sì, perché la profezia nasce dalla normalità, non nasce dai dati eccezionali, la normalità di un’esistenza e in fondo lui ha fatto il suo mestiere di vescovo al meglio. Ecco, nel farlo al meglio è stato profeta, alla maniera degli antichi profeti di Israele. Anche quando leggiamo i profeti non ci immaginiamo e non abbiamo reso conto di gesta straordinarie, ma abbiamo reso conto di persone che in ogni momento si pongono ad un angolo e cercano di vedere ciò che accade nel mondo, cosa accade agli uomini e nello stesso tempo cercano di scoprire in quel momento il disegno di Dio.

D. - Il film si chiude con le immagini di una duplice benedizione…

R. – Il rabbino Laras ha accettato di registrare ed è inserita nel film la benedizione in ebraico che si sono scambiati poco prima della morte quando Laras è andato a trovare Martini all’Aloisianum di Gallarate. E poi c’è un’ultima benedizione di Martini a mons. Giovanni Barbareschi e in questo Martini è profetico. Un continuo rinnovare il patto tra Dio e l’uomo e tra l’uomo e Dio.








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