“A essere franchi, il testo non parla mai direttamente di eutanasia assistita, ma il timore è che, tra le righe, ci si avvii verso quel tipo di strada. Ed è obbiettivamente rischioso cercare di fare passare un’idea del genere che avrebbe gravi ripercussioni sul ruolo del medico dal punto di vista deontologico e professionale”. Queste perplessità sul progetto di legge dedicato al fine vita, che presto potrebbe essere discusso dal Parlamento italiano, sono espresse da Antonio Pisani, neurologo dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e della Fondazione Santa Lucia IRCCS.
Curare a metà?
“A leggere questo testo – continua il medico - sembrerebbe
che una persona sottoposta a un trattamento medico possa prendere la decisione su
‘quanto’ farsi curare, allo stesso modo che un cliente che compra un’assicurazione
può inserire o meno degli optional. Ma ciò non è, secondo me, a discrezione del malato:
se io come medico propongo una cura la propongo dalla A alla Z e non a metà. E qui
entra anche in gioco il ruolo istituzionale dell’Università: ai nostri studenti di
medicina non possiamo insegnare a curare a metà o secondo le volontà del paziente.
Ciò implicherebbe uno stravolgimento della tipologia del nostro insegnamento”. “Anche
equiparare idratazione e nutrizione artificiale a delle terapie, che il paziente può
rifiutare, come fa questo testo – conclude Pisani - è una scelta che, al di là delle
convinzioni etiche religiose, pone un problema. Di fronte a una situazione
terminale, dal punto di vista legislativo, si deve assicurare il cosiddetto trattamento
indispensabile e non è assolutamente chiaro come un paziente in quelle condizioni
possa esprimere personalmente la volontà di sospenderlo, o lasciar detto a qualcuno
di farlo in sua vece. Non è una questione facile, ma immaginare che una vita possa
concludersi così, mi pare un po’ rischioso”.
A rischio la relazione medico - paziente
“Come medico questo testo di legge mi preoccupa perché
il nostro ruolo va inserito in un contesto relazionale con il paziente e con la sua
famiglia e questo progetto di legge isola il medico e minimizza l’importanza di questa
relazione”, aggiunge Giorgio Minotti, preside della facoltà dipartimentale
di Medicina e Chirurgia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. “Mi preoccupa
anche come formatore di giovani medici, perché quelli che oggi sono studenti e domani
saranno medici si stanno preparando a un’interazione con il paziente che si basa sulla
trasmissione semplice e chiara, trasparente, di tutte le opzioni terapeutiche possibili,
purché proporzionali alla malattia, nella speranza del coinvolgimento attivo e sereno
del paziente. Qui tutto questo viene a mancare o comunque viene scardinato e dal testo
traspare una scarsa conoscenza del significato della figura del medico”.
Se il medico diventa un erogatore di prestazioni
“Parlare di eutanasia significa usare una parola pesante
come un macigno”, prosegue il prof. Minotti. “Il testo non è esplicitamente rivolto
a quello scopo. Ma la sua lettura, in questa fase di elaborazione, lascia spazio a
un’interpretazione del genere. E’ un testo ampio, che non è rivolto solo alle situazioni
estreme, terminali e può portare perciò a implicazioni preoccupanti”. “Infine credo
che l’introduzione delle Dat (dichiarazioni anticipate di trattamento) vincolanti
per il medico, riduce il suo ruolo a quello di un erogatore di prestazioni richieste.
Il testo, così com’è concepito, è completamente cieco anche nei confronti dei progressi
della medicina. Un paziente che non è curabile oggi, lo potrebbe essere fra
due o tre anni. Quindi anticipare a oggi una decisione, di due o tre anni, significa
negare la medicina come scienza che progredisce e fornisce nuove opzioni terapeutiche”.
Nutrizione e idratazione non sono atti
medici
“Sono sconcertato da questo testo. In vent’anni di
assistenza a persone in stato vegetativo ho verificato che il rapporto di fiducia
tra medico e paziente è basato su una libertà professionale e deontologica, psicologica
e spirituale, che non può essere messa dentro confini che il legislatore, arrogantemente,
presume di delimitare”, commenta infine l’avvocato Francesco Napolitano, presidente
dell’Associazione Risveglio che gestisce ‘Casa Iride’, una delle poche strutture pubbliche
dedicate in Italia alla cura di persone in stato vegetativo persistente.
“Ed è sconcertante che in questa legge si parli di nutrizione e idratazione come atti
medici, quando noi vediamo i familiari delle persone da noi ricoverate, alimentare,
attraverso il sondino gastrico o le sacche che portano il cibo, i loro congiunti con
un atto semplice e quotidiano. Questa superficialità va denunciata, perché non sembra
una legge ma un regolamento amministrativo”.
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