2017-02-13 14:13:00

Referendum in Svizzera: sì a cittadinanza a nipoti d'immigrati


Dalla Svizzera un atto atteso verso gli immigrati di terza generazione per ottenere la cittadinanza con procedura agevolata e semplificate. Questo il risultato del Referendum che ha decretato ieri una modifica costituzionale sulla naturalizzazione di giovani - fino ai 25 anni - nati e cresciuti sul suolo elvetico, che vi abbiano frequentato la scuola per 5 anni, cosi come un loro genitore, e abbiano un nonno vissuto in Svizzera. Roberta Gisotti ha intervistato Enzo Rossi, ordinario di economia delle migrazioni e regolamentazioni, all’Università di Tor Vergata a Roma

Il tema immigrazione ogni giorno sulle pagine della stampa nel mondo. Mentre il presidente Usa Trump annuncia per questa settimana novità in materia dopo lo stop della magistratura americana al decreto della Casa Bianca che impone il divieto all’immigrazione da 7 Paesi a maggioranza musulmana, l’Europa resta al palo con le sue incertezze, contraddizioni, aperture sulla carta e chiusure nella pratica, scontri fra Paesi. In questo clima, 6 svizzeri su 10 hanno votato sì alla piena integrazione degli immigrati di terza generazione.

D. - Prof. Rossi, un segnale verso l’accettazione della realtà migratoria o solo una facilitazione burocratica?

R. – Io lo interpreterei più che altro come mettere ordine in una situazione utilitaristica. Il principale problema è quello di regolarizzare la posizione di alcune persone che sono già stabilite nel tessuto produttivo in maniera continuativa, e quindi di risolvere un problema dando loro la cittadinanza. In realtà, questo provvedimento svizzero non è nulla di nuovo rispetto a quello che già fanno moltissimi Paesi europei e, anzi, contiene clausole ancora più cavillose e a volte più restrittive. Quando noi diamo la residenza a cittadini stranieri, nella versione svizzera facciamo appello allo ius solis; in molti casi si fa appello al doppio ius solis, cioè si richiede anche una nascita o una permanenza di una generazione precedente. Questa è la situazione di moltissimi Paesi europei, come ad esempio la Germania; anche in Grecia, se i genitori sono presenti da cinque anni, si rilascia automaticamente, così avviene pure in Irlanda. Non avviene in Italia dove però abbiamo percorsi particolari per accompagnare i minori verso la cittadinanza. Quasi sempre si richiedono requisiti di integrazione linguistica e nella cultura del Paese ospitante. Nel caso della Svizzera, mi sembra che sia una delle versioni più restrittive fra quelle che abbiamo in Europa, perché si risale addirittura alla terza generazione, perché si va a guardare anche ai nonni. In realtà è il modo in cui in anni recenti tutti i Paesi, in particolare molti Paesi europei – come Germania e Italia – che hanno problemi di invecchiamento della popolazione, cercano di risolvere i problemi demografici. Evidentemente, noi diamo permessi di residenza, diamo permessi di lungo soggiorno a quelli che ci fanno comodo …

D. – Prof. Rossi, comunque è un dato di fatto che in Europa politiche di destra e di sinistra si sono dimostrate incapaci di pianificare e gestire flussi di migranti e rifugiati, una realtà che già da vent’anni gli organismi dell’Onu paventavano e che ora è al collasso …

R. –Sì, non mi sembra che la politica europea stia viaggiando verso una maggiore apertura. Qui assistiamo ad una serie di misure che sono allo studio, che sono state proposte dalla Commissione europea, che sono in parte già singolarmente attuate dagli Stati e che comportano forme più o meno mascherate di respingimento di questi flussi migratori, cercando di conciliare questi – che sono di fatto respingimenti – con una serie di Convenzioni internazionali, con il rispetto dei diritti umani, riuscendoci però soltanto in parte. Tant’è vero che abbiamo sentenze della Corte di Giustizia, della Corte europea dei diritti umani, che vanno contro certe misure prese da alcuni Stati.

D. – Lei dirige un master all’Università di Tor Vergata su “Economia, diritto e intercultura delle migrazioni”. Questo vuol dire comunque che il mondo accademico segnala questa esigenza di prepararsi a una società diversa rispetto a quella che vivevamo 20 anni fa?

R. – In realtà, noi abbiamo una grande richiesta, proprio in questi giorni esce il bando per l’edizione che apriremo ad aprile. C’è necessità di preparare operatori qualificati, in grado di corrispondere a quelle politiche che, sia pure lacunose e sia pure per certi versi criticabili, gli Stati stanno mettendo in atto. Non c’è dubbio che ci sarà sempre più bisogno di questo tipo di personale.








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