2017-02-14 14:55:00

Congo: violenze in tutto Paese. Oltre 100 morti


Si acuisce l’instabilità che scuote la Repubblica Democratica del Congo. Secondo le Nazioni Unite è di oltre 100 morti il bilancio degli scontri tra l’esercito governativo e una milizia locale, avvenuti tra il 9 e il 13 febbraio nella provincia centrale del Kasai. Nuove tensioni etniche si registrano poi nella martoriata provincia del Nord Kivu, con 3 vittime e 13 persone rapite. Infine, nella capitale Kinshasa almeno quattro persone hanno perso la vita nell’assalto della polizia contro la sede di una nota setta politico-religiosa. Riguardo la situazione nel Paese, Marco Guerra ha intervistato l’africanista Marco Di Liddo, analista per l'Africa del Centro Studi Internazionali di Roma:

R. - Sì: si tratta di una tipologia di scontri che ha opposto l’esercito nazionale congolese a una milizia attiva nelle regioni, una milizia che prende il nome da un capo villaggio molto famoso nella regione il cui nome è Kamuina Nsapu. E’ una delle tante milizie etniche che agiscono nel Paese e che sostanzialmente si oppongono al potere centrale perché rivendicano maggiore autonomia che in quel Paese vuol dire una più equa ridistribuzione delle risorse e un controllo sulle ricchezze minerarie o agricole nazionali.

D. - Intanto, questa mattina nella capitale Kinshasa le forze di sicurezza hanno preso d’assalto la residenza di un capo di una setta separatista. Che cosa succede anche qua, in questo Congo scosso dalle violenze e dall’insicurezza?

R. – A Kinshasa e nelle vicinanze di Kinshasa è stata attuata una massiccia operazione da parte delle forze armate, volta a catturare o a neutralizzare Ne Muanda Nsemi, che è appunto il capo del Bundu dia Kongo. Il Bundu dia Kongo è una milizia etnica a sfondo religioso, in cui però la religione serve semplicemente a dare una giustificazione, una legittimità politica a un’attività sostanzialmente di tipo militare. L’obiettivo di questa setta è, esattamente come in quelle del Kasai centrale, rivendicare un sistema federalista e meno accentratore rispetto a quello propugnato dal Presidente Kabila.

D. – A tale proposito, queste violenze, questa instabilità sono provocate anche dal fatto che a dicembre si sarebbe dovuto dimettere il Presidente Kabila, per la fine del suo mandato. Kabila ancora non si è dimesso, e che cosa succede in questa situazione di incertezza politica?

R. – Kabila ha posticipato le elezioni al dicembre 2017, ritardando quindi di ben un anno – rispetto alla data iniziale; e lo ha fatto adducendo ragioni di sicurezza e di instabilità politica nel Paese. In realtà, essendo terminato il numero massimo di mandati, c’è il rischio che il Presidente non voglia mollare il suo ruolo e voglia continuare a essere il padre-padrone del Paese. Questo potrebbe portare a un moltiplicarsi di episodi di violenza e purtroppo al rischio di un’insurrezione generale con scenari da guerra civile.

D. – Quindi, quali sono le principali sfide del Paese nei prossimi mesi, nei prossimi anni, sia a livello politico sia a livello sociale? Ricordiamo che il Congo è uno dei Paesi più grandi del Continente africano …

R. – La superficie territoriale del Congo corrisponde a quella di quasi tutta l’Europa occidentale, e addirittura oltre. E’ un Paese che nelle sue contraddizioni rappresenta un po’ il paradosso di tutto il Continente africano. E’ un Paese ricchissimo di qualsiasi cosa; la natura ha letteralmente benedetto questa terra, offrendole ogni sorta di ricchezza. Però, purtroppo, la brutalità del dominio coloniale belga e le difficoltà di convivenza tra le tante etnie hanno sempre impedito lo sviluppo di un sistema politico equo e che potesse garantire ricchezza a tutti i cittadini. La sfida è quella di garantire ai cittadini congolesi le condizioni giuste per sfruttare le ricchezze del Paese e non essere costretti, per vivere, a scontrarsi tra di loro e quindi a far degenerare il Paese in questi scenari di guerra civile che purtroppo lo caratterizzano fin dalla sua indipendenza.

D. – Quindi c’è bisogno di qualcuno che guidi uno sforzo di riconciliazione nazionale? C’è una figura che può fare questo?

R. – La figura era quella di Etienne Tshisekedi che purtroppo qualche settimana fa è deceduto, lasciando un vuoto politico assolutamente incolmabile. La prima responsabilità, a questo punto, non può essere che sulle spalle delle Nazioni Unite che devono non solo contribuire alla sicurezza militare nel Paese, ma anche a guidare un processo di state-building, come hanno dimostrato di saper fare in altri scenari africani.








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