2017-02-14 15:18:00

Tabgha, riaperta la chiesa. I benedettini: mai accettare l'odio


Una cerimonia interconfessionale e una Messa hanno segnato la riapertura, domenica scorsa in Israele, della chiesa della Moltiplicazione dei pani e dei pesci a Tabgha. L’edificio era rimasto chiuso per quasi venti mesi a seguito di un incendio doloso appiccato da estremisti ebraici, nel giugno del 2015, per odio verso il cristianesimo. Francesca Sabatinelli:

Ci sono voluti venti mesi di chiusura e otto di restauro per restituire la chiesa di Tabgha al culto e ai fedeli. L’incendio, appiccato da due giovani estremisti ebraici non solo aveva distrutto il sito, ma aveva anche inferto una profonda ferita ai rapporti tra le comunità religiose della Terra Santa, vittime di fanatici che non credono nel dialogo e nella convivenza e che vedono nei cristiani e nei musulmani nemici da cacciare. Un grave incitamento all’odio più volte denunciato dai leader cristiani che non intendono piegarsi alla violenza. Il benedettino padre Matthias Karl è il rettore della chiesa di Tabgha:

“Questo odio continua, queste attività anti-cristiane continuano, in piccole ma anche in grandi cose. Continuano a distruggere le macchine dei monasteri, scrivono sui muri del monastero cose inaccettabili contro Gesù, contro Maria, contro i cristiani in generale. Ci sono dei fondamentalisti, nella comunità ebrea, grazie a Dio è un gruppo molto molto piccolo, sono pochi, ma questi pochi sono sempre un problema. In tutte le religioni si trovano quei pochi che creano problemi, che apertamente lavorano – noi diciamo – “contro” la propria religione: non leggono i comandamenti, perché la religione ebraica non dà la possibilità di agire contro i cristiani. Ma sono i fondamentalisti, gli estremisti, che vogliono questa terra dello Stato israeliano solo per loro e per nessun’altra persona. Non hanno rispetto per chi non è ebreo”.

Un milione di dollari circa il costo del restauro, al quale hanno contribuito, tra gli altri, anche il governo israeliano e gruppi di ebrei moderati. Un importante segnale delle autorità israeliane, sottolineato anche dalla presenza, alla cerimonia di riapertura, del presidente israeliano Reuven Rivlin:

“Per noi è stato un bel segno. E’ venuto a visitarci per la seconda volta, la prima era stata dopo l’incendio poi, quando lo abbiamo invitato per la cerimonia della benedizione, lui ha subito risposto che sarebbe venuto. E’ venuto con sua moglie, per sottolineare che si trattava di un atto non solo ufficiale, ma che aveva anche una connotazione di importanza personale per lui. E’ un segnale che lui ha dato, che l’odio non deve mai essere accettato. Non importa chi genera l’odio: questo si deve evitare sempre. E questo per noi è stato importante, un bel segno, un segno che anche se gli ebrei fanno attività anticristiana, lo Stato non lo accetta e noi ci auguriamo che le persone che lavorano per evitare queste cose, che lavorano nel campo dell’educazione, nelle diverse istituzioni per la sicurezza qui in Terra Santa, abbiamo compreso che si deve fare di più per creare un futuro migliore, un futuro più rispettoso tra i diversi gruppi religiosi che si trovano qui, in Terra Santa”.

In un primo tempo l’aspetto del risarcimento aveva creato uno scontro tra le parti, con Israele che, rigettando l’ipotesi di “terrorismo”, rifiutava di contribuire alla ricostruzione. Successivamente, poi, l’inversione di rotta e la decisione di collaborare:

“Con tutto quello che è successo qui a Tabgha, quel fuoco è stato veramente un’esperienza terribile. Renderci conto che sono stati alcuni ebrei a incendiare ci ha fatto tanto male, perché noi cristiani, qui in Terra Santa, cerchiamo di avere buone relazione con gli ebrei. Per questo è stato molto importante che dopo l’incendio tanti, tanti ebrei sono venuti a trovarci per esprimerci la loro solidarietà. Abbiamo avuto donazioni dalla comunità ebraica della Terra Santa, grazie alle quali abbiamo potuto ricostruire l’atrio e il chiostro della chiesa. Per questo noi abbiamo detto che si è trattato di due fuochi: uno che ha distrutto tanto e uno d’amore, e questo fuoco d’amore è stato nutrito da tanti ebrei. E l’esperienza bella, in tutta questa situazione difficile, è stata che tanti ebrei ci hanno manifestato la loro vicinanza, così abbiamo capito che siamo accettati in questa terra, in questo Luogo santo, biblico, che per noi cristiani è molto importante. Certamente vogliamo continuare a vivere qui, tenere aperto questo luogo per chiunque venga con cuore pieno d’amore e di pace”.

Ciò che è importante, aggiunge padre Matthias è che il processo a carico dei responsabili si concluda con una condanna, che quindi la giustizia israeliana dia un segnale deciso della strada che intende percorrere:

“Non si sa ancora come finirà il processo. Da parte della comunità cristiana chiediamo allo Stato ebraico, di Israele, di mettere in pratica le leggi anche quando è un ebreo a fare una cosa brutta, e non di applicarle solo quando è un palestinese a porre problemi. Questo si nota un po’. Grazie a Dio noi siamo contenti che i responsabili dello Stato abbiano fatto un grande lavoro per identificare le persone che hanno dato fuoco. Ma questo non basta, adesso è necessario continuare il processo, perché non si può accettare una cosa del genere”.








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