2017-02-16 10:45:00

Trump: Israele e Palestina, soluzione dei due Stati non è unica via


Ha suscitato un vivace dibattito nella comunità internazionale il primo incontro, ieri, alla Casa Bianca tra il premier israeliano Netanyahu e il presidente Donald Trump. Sul tavolo il processo di pace in Medio Oriente e la soluzione dei due Stati congelata dagli Usa. Accordo tra i due sulla pericolosità del nucleare iraniano, che minaccerebbe Israele. Massimiliano Menichetti he ha parlato con Dario Fabbri esperto della rivista di geopolitica Limes:

R. – Ciò che è cambiato con Trump è la narrazione: non siamo abituati, almeno da qualche decennio, ad ascoltare un presidente degli Stati Uniti che di fatto considera irrilevante la possibilità che dal conflitto israelo-palestinese emerga un solo Stato o due Stati. E’ evidente che è una differenza enorme, cruciale; però dobbiamo essere molto chiari su questo. Sebbene negli anni passati l’approccio, almeno dialettico, degli Stati Uniti fosse diverso, l’atteggiamento concreto, poi, dell’America nei confronti di Israele non è mai stato esattamente favorevole alla creazione di due Stati.

D. – Qual era il sottotraccia, allora?

R. – Gli Stati Uniti – nonostante gli sforzi, alcuni anche genuini, realizzati – hanno sempre avuto la consapevolezza che comunque per Israele fosse necessario, e anche legittimo, avere Stati-cuscinetto, territori-cuscinetto – da Gaza al Golan e alla Cisgiordania – per garantire la propria sicurezza, pur cercando in un futuro – a quanto sembra però ormai sempre più lontano – anche di immaginare uno spazio vitale per i palestinesi. Ecco, nella sostanza questo non è cambiato; è cambiato l’approccio narrativo dell’amministrazione attuale.

D. – Sulla questione degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi, Trump ha chiesto che si rallenti, però si è dissociato dalla condanna espressa a dicembre dall’Onu quando per la prima volta, lo ricordiamo, gli Stati Uniti di Obama non esercitarono il diritto di veto in favore di Israele …

R. – Chiedere, da parte di Trump, un rallentamento, è semplicemente una misura cosmetica; la stessa scelta di Obama dell’ultima coda del suo secondo mandato alle Nazioni Unite, di condanna nei confronti degli insediamenti israeliani, anche lì è sostanzialmente una parte dialettica: la sostanza, come detto, è sempre stata molto coerente, da parte americana. Si tratta di pressioni – diciamo così – a voce, ma nei fatti gli Stati Uniti non hanno mai realmente impedito che gli insediamenti israeliani continuassero.

D. – Accordo tra Israele e Stati Uniti, invece, sul nucleare iraniano, che viene visto come una minaccia nei confronti di Israele …

R. – Qui c’è un cambiamento, nel senso che le posizioni sono diverse, tra Netanyahu e Trump, sebbene ieri apparissero identiche; ma c’è un cambiamento tra Trump, tra questa amministrazione e quella precedente. Cioè, l’amministrazione Trump non considera l’attuale accordo sul nucleare – che ovviamente non è soltanto sul nucleare, ovviamente – ma comunque l’accordo che ha reinserito nel gioco mediorientale l’Iran, non lo considera troppo funzionale agli interessi degli Stati Uniti; lo considera abbastanza funzionale, ma non troppo, come invece ovviamente lo pensava Obama che ne è stato l’alfiere durante la sua amministrazione. Ciò che Trump vuole che sia ri-negoziato, in questo accordo dell’Iran – da qui, anche la pressione esercitata sull’Iran attraverso il muslim band – l’Iran è uno dei sette Paesi i cui cittadini erano stati bloccati dall’entrata negli Stati Uniti – perché, pensa Trump, l’Iran deve essere maggiormente frenato nelle sue ambizioni a livello regionale, specialmente perché Trump è convinto – come lo era nell’ultima parte della sua amministrazione – che Assad in Siria sia il male minore e che quindi debba rimanere al suo posto. Assad, ovviamente, è un cliente dell’Iran quindi ne aumenta l’influenza nella regione. Per diminuirla, si pensa di ri-negoziare l’accordo sul nucleare.

D. – Diversa la posizione di Israele …

R. – La posizione di Israele, che invece è diversa: per Israele l’Iran, soprattutto per la politica israeliana – quindi per Netanyahu – l’Iran è il nemico assoluto, semplicemente perché è il Paese che a suo parere può eliminare l’egemonia israeliana sul Medio Oriente, e dev’essere frenato in ogni modo. In realtà, questa posizione non è accolta, neanche dall’amministrazione Trump che semplicemente vuol diminuire l’influenza di Israele ma non arrivare a uno scontro diretto, frontale.








All the contents on this site are copyrighted ©.