2017-02-22 14:31:00

L'incontro del Santo Padre con i familiari delle vittime di Dacca


Prima dell’udienza generale, Papa Francesco ha incontrato, nell’ Auletta dell’Aula Paolo VI, i familiari delle 9 vittime italiane dell’attentato a Dacca, in Bangladesh, il primo luglio dello scorso anno. Il gruppo, una trentina di persone, era accompagnato da mons. Valentino di Cerbo, Vescovo di Alife-Caiazzo. Ventinove in tutto i morti in quell’episodio di efferata crudeltà, compiuto da 5 giovani appartenenti all’estremismo islamico. I familiari stanno rispondendo con diverse iniziative di solidarietà e di pace alla violenza subita. Tra queste anche la costruzione di una chiesa in Bangladesh, in collaborazione con l’associazione "Aiuto alla Chiesa che Soffre". Nel servizio di Adriana Masotti, alcune loro testimonianze:

"Sono Silvia, la sorella di Maria Riboli, che è morta nella strage di Dacca. Poter avere la possibilità di incontrare il Papa, è stato davvero emozionante. Abbiamo portato dei simboli di pace, che sono gli ulivi, alla persona che più di tutte riesce a trasmetterci questo senso di pace in questo momento. E’ stato davvero un’emozione forte".

"Io sono Rossella Riboli, sorella di Maria Riboli. Siamo di Bergamo. Credo che l’incontro con Papa Francesco oggi sia servito soprattutto per emozionare il nostro cuore, un respiro di pace. E ciò che vogliamo trasmettere è proprio questo: l’odio non porta a niente, la vendetta non porta a niente, solo rancore ed altra violenza. E noi davvero stiamo cercando di fare questo: ricordare i nostri cari per quello che erano e soprattutto il loro grande valore, che spero tutti conoscano pian piano. Voglio ringraziare davvero Papa Francesco perché ci aiuta, ci ha rincuorato in questa cosa e noi cammineremo ancora su questa strada".

"Sono Fattore Concetta. Sono contenta di aver visto il Papa da vicino. Sono felice che ci ha ospitato, ci ha ascoltato. La nostra tragedia di Dacca è stata una cosa orribile, una cosa forse unica, una cosa bruttissima, che ci hanno fatto. E non c’è un perché ancora, non c’è un motivo, perché questi giovani hanno fatto questo… Noi vogliamo sapere perché".

D.  – Lei chi ha perso?

R. – Mio genero, una persona speciale perché era altruista e anche a Dacca pensava agli altri, ai bambini bisognosi.

D. – Rimanere vedova così… Posso chiedere come si fa a passare dal dolore e dalla rabbia alla capacità di trarre del bene per altri?

R. – Se avessi solo immaginato qualche mese prima tutto quello che poi è accaduto… Si sentiva parlare di attentati, di Is… Noi viaggiavamo spesso e ogni tanto mi veniva l’idea: "Ma se succedesse qualcosa? No, ma dai, proprio a noi…”. E non avrei mai immaginato, nel momento in cui ho avuto la notizia, dentro di me è venuta fuori una forza… anche se con mio marito eravamo insieme da 27 anni, una vita! Come ho fatto io oggi ancora non lo so. L’istinto mi ha portato subito a fare del bene, a Dacca. Abbiamo costituito l’associazione “In viaggio con Vincenzo” e porteremo avanti questi progetti di dare aiuto e sostegno ovunque ce ne sia bisogno, anche in Italia.

D. – Oggi il Papa cosa vi ha detto?

R. – Ci ha detto che è stata bellissima la nostra reazione all’odio. Lui ha detto: “E’ facile passare dall’amore all’odio ma è difficile il contrario”. Il Papa ci ha detto: “Grazie, grazie a voi per questo che avete fatto, mi avete dato un insegnamento”.

R . – Io sono il papà di Claudio Cappelli. Io ho rivolto un pensiero al Papa e gli ho detto che chiediamo più che altro il suo aiuto per superare questo momento particolare.

D. – Lui sicuramente ha apprezzato… La vostra è una risposta veramente cristiana, oltre che di umanità di fronte a tanto male…

R. - Sì, infatti, noi non portiamo odio. Vorremmo appunto che nel mondo ci fosse una svolta e che questi sacrifici servissero a tanti, che bisogna seguire altre strade. Non si può seguire la strada della violenza e speriamo che le nuove generazioni capiscano questo e che possano contribuire a migliorare questo mondo.

D. – Mons. Di Cerbo, che cosa può dirci….

R. –  Abbiamo scoperto queste persone, quelle che sono state uccise, che sono belle persone, che sono andate lì per lavorare, non a sfruttare la situazione: davano lavoro e aiutavano anche le suore che si occupavano dei bambini di strada.  Queste iniziative poi le hanno assunte i loro familiari. E anche nel giorno dei funerali di uno di loro, Vincenzo D’Allestro, della mia diocesi di Piedimonte, è stato bello che sui manifesti la famiglia abbia voluto scrivere: “Pensate ai bambini di Dacca”. Poi la moglie ha fondato un’altra associazione per provvedere a borse di studio per i giovani del Bangladesh. Loro stanno percorrendo questa strada. Poi un sacerdote, il fratello di una delle vittime che era anche incinta, sta collaborando con i suoi giovani per costruire una chiesa …

D. - Che sarà inaugurata proprio venerdì…

R. – Sì, venerdì. La cosa straordinaria è che da questo grande dolore sta fiorendo l’amore e questa è una testimonianza e un regalo che queste persone stanno facendo a tutti noi.

Grazie, dunque al contributo offerto dalla famiglia Monti, che ha perso Simona, ci sarà una nuovo piccolo luogo di culto in Bangladesh. Sentiamo il direttore di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, Alessandro Monteduro:

R. – Certamente, sì. Vorrei precisare che la famiglia Monti non ha perso solo una figlia, ha perso anche un nipote perché Simona era in attesa di dare alla luce un bambino. Nei giorni successivi alla strage hanno avvertito la sensibilità di lanciare un messaggio di speranza. E quella speranza loro hanno pensato di riscontrarla, di individuarla chiedendo all’intera comunità di Magliano Sabina di farsi carico di un pensiero per quei cristiani, per quelle minoranze perseguitate del Bangladesh. Allora hanno pensato di destinare una somma che hanno raccolto durante le esequie di Simona, alla realizzazione di una chiesa in un piccolo villaggio, Harintana, a 150 km circa da Dacca, un villaggio talmente piccolo da ospitare appena 125 cattolici. Ma non avevano un vero e proprio luogo di preghiera, solo una piccola chiesetta in legno, che però a causa di uragani, tifoni, spesso andava a deteriorarsi e quindi ogni volta si doveva ricostruire.

D. – Una comunità piccola, come è una minoranza la presenza dei cattolici, dei cristiani in tutto il Paese. Di fronte a un ambiente non sempre pacifico verso i cristiani è bello questo amore dimostrato dalle famiglie italiane…

R. – Assolutamente, sì. E’ una notizia splendida, è il modo con il quale rispondere al terrorismo. E’ un’arma anche questa ma è l’arma della speranza. E’ il miglior antidoto, dal nostro punto di vista, contro il virus dell’estremismo. Questo riguarda il Bangladesh ma può riguardare qualsiasi angolo del mondo. In Bangladesh la popolazione è di circa 156 milioni di abitanti. E’ da considerarsi che l’89-90 per cento della popolazione è musulmana, solo lo 0,5 per cento è cristiano. Parliamo dunque di una comunità terribilmente piccola. Una comunità che in quanto minoranza soffre anche la povertà, quindi una difficile condizione sociale, economica… Per loro il sentirsi membri sia pure di questa piccola comunità attorno ad un luogo di preghiera è essenziale non solo per ritrovarsi nella loro spiritualità ma anche per poter socializzare. E come ci ha raccontato il vescovo della diocesi di Khulna, dove inaugureremo la chiesa di San Michele, questa è importante anche per un’attività correlata all’evangelizzazione. Non si può pensare di avvicinare alla fede cristiana altre persone se non c’è la possibilità di accompagnarli in un dignitoso luogo di preghiera.

D. – C’è un motivo particolare per cui questa chiesa sarà dedicata a San Michele?

R. – L’intestazione di San Michele è stata particolarmente apprezzata dalla famiglia Monti perché sarebbe stato, da quello che ci hanno raccontato, il nome che Simona avrebbe dato alla sua creatura.








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