2017-02-25 14:41:00

Il popolo di Capodarco: ridare speranza e protagonismo agli ultimi


Tanta gioia tra i circa 2600 partecipanti all’incontro del Papa con la Comunità di Capodarco, accompagnati dal fondatore, don Franco Monterubbianesi. Presenti operatori e volontari, che lavorano al fianco di disabili ed emarginati, e persone che - grazie al loro aiuto - hanno ritrovato la speranza di vivere, riuscendo a reinserirsi nella società. Ascoltiamo alcune testimonianze al microfono di Marco Guerra:

R. - Noi accogliamo mamme che hanno problemi nel vissuto personale, donne che hanno subito violenze dai propri compagni e che non hanno un alloggio.

R. - La nostra è una comunità che sta a Fermo e lavora in sinergia con il dipartimento di salute mentale. In pratica nella nostra casa vengono persone mandate dal dipartimento e poi con queste persone cerchiamo di costruire un percorso. L’idea è quella poi di arrivare nel giro di qualche anno al reinserimento.

In Aula Paolo VI c’è tutta la galassia delle cooperative della Comunità di Capodarco impegnate nelle periferie della società. Disabili mentali e fisici, nuovi poveri, migranti ed emarginati, trovano un modello di recupero e integrazione che parte dalla valorizzazione dei talenti di ogni persona. Così com’è stato per Donatello, ex-tossico dipendente di Castelfidardo, letteralmente rinato dopo l’incontro con Capodarco:

R. - E’ stato un cambio radicale della mia vita. Ho vissuto per 20 anni per strada, non avevo un tetto, non avevo famiglia e lì ho trovato un tetto, una famiglia, persone che mi volevano bene. Io credo che non è sufficiente smettere di drogarsi, ma serve avere una visione nuova della vita.

E dopo 50 anni questa rete di cooperative rappresenta un modello alternativo che va oltre il pietismo e l’assistenzialismo di Stato. Il fulcro di questa realtà è l’inserimento lavorativo e la piena autonomia del soggetto che vive in situazioni di emarginazione, come confermano le parole dei responsabili di alcune comunità di Fermo e Boville Ernica:

R. - Sicuramente è una modalità possibile che parte dalla valorizzazione delle persone più emarginate. Cioè, il modello sta in questo: con le persone in difficoltà costruire insieme il loro futuro. Una società impostata così è una società che è migliore anche per i cosiddetti sani.

D. - Voi  aiutate a togliere i talenti da sotto terra…

R.  – Assolutamente, sì. E suggeriamo anche a chi pensa di non averne che vale la pena. Li aiutiamo a scoprire i talenti che hanno e a farli moltiplicare.

R. - Sì, come prima don Franco, ha detto al microfono, questo modello ha permesso un cambiamento radicale nella vita di chi era costretto a stare segregato in casa, a trascorrere giornate chiuso nel proprio mondo, senza contatti sociali e senza potersi realizzare laddove anche il disabile può e deve realizzarsi.

D. - Un impegno avviato da un consacrato ma che ora si regge sulle gambe di migliaia di laici che ogni giorno lavorano per la comunità di Capodarco...

R. - L’intuizione di don Franco è stato possibile realizzarla attraverso un mondo di laici, disabili, persone in difficoltà, volontari, è stato un messaggio che è stato raccolto: è il messaggio della fede cristiana.








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