2017-02-25 14:57:00

Shock in Italia per due rom chiuse in gabbia e filmate


Indagati per sequestro di persona, ma osannati dal web e dalla Lega. Due dipendenti di un supermercato di Follonica dovranno rispondere alla giustizia per aver rinchiuso, in un gabbiotto per rifiuti, due donne nomadi che raccoglievano gli scarti del negozio. Dopo averle filmate deridendole, i due hanno poi diffuso in Rete il video che ha suscitato frasi di odio contro le donne e perfino sostegno ai due autori del gesto. Francesca Sabatinelli ha intervistato il giornalista Giovanni Maria Bellu, autore del libro “I fantasmi di Portopalo. Natale 1996: la morte di 300 clandestini e il silenzio dell'Italia”, nonché presidente dell’Associazione Carta di Roma, punto di riferimento per tutti coloro che sono impegnati al fianco delle minoranze nel mondo dell’informazione:

R. - Fa impressione l’intera sequenza. Nel senso che noi, normalmente, siamo abituati a leggere cose feroci sui social che poi vengono diffuse, vengono commentate, vengono aggravate, oppure cose non feroci, per esempio normali notizie che riguardano gli immigrati o che riguardano i rom, ma che vengono bersagliate da commenti di odio. In questo caso abbiamo un atto già odioso compiuto da irresponsabili e sorprende la ferocia di quell’atto. Sorprende di meno il fatto che poi loro l’abbiano messo, così, con questa svagatezza, sulle loro pagine facebook e che sia stato diffuso. Perché noi assistiamo, sempre quando c’è un discorso d’odio, al fatto che abbiamo dei soggetti che quasi non si rendono conto di compiere un atto che poi porta alla conoscenza di migliaia, a volte centinaia di migliaia di persone, il loro gesto. In questo caso, tra l’altro, si sono anche autodenunciati, cioè hanno fornito pubblicamente la prova del reato. Questo indica il livello che, anche in un ambito criminale o paracriminale, il rapporto col social può creare: cioè il livello di inconsapevolezza totale. Il fatto più grave di tutti è che poi alcuni soggetti politici, e in particolare il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, si siano buttati in questa melma cercando di creare consenso da questo orrore. Forse questo è il fatto grave.

D. - C’è però anche la reazione degli avventori del supermercato in questione, intervistati all’uscita, che hanno mostrato atteggiamenti palesemente razzisti o di assoluta indifferenza. Questo indigna ma soprattutto fa paura…

R. – Io credo che se noi avessimo la forza, la forza che ci manca, la forza che storicamente manca a questo Paese, di considerarci una comunità e avere un senso dello Stato e un senso della nazione, dovremmo tutti quanti allarmarci, indipendentemente dalle convinzioni politiche, per questo clima. Sicuramente è vero che è molto più facile il discorso razzista del discorso della consapevolezza. Ed è ancora più facile in un momento di esasperazione sociale, di crisi economica… E’ una cosa che spezza la possibilità di un dialogo, che ne elimina i presupposti. Purtroppo c’è una parte della politica che rimesta in questo fango e sono i veri irresponsabili pericolosi.

D. - Però non si può aspettare che solo la classe politica intervenga…

R. - Certamente un ruolo fondamentale ce l’hanno i mezzi di comunicazione. E un ruolo forse oggi ancora più importante ce l’hanno quanti gestiscono i social. E’ stata istituita, nel maggio dell’anno scorso alla Camera, una commissione di studio, dedicata a Jo Cox, la parlamentare inglese che è stata uccisa qualche giorno prima del referendum sulla Brexit, che si occupa dell’intolleranza e dell’odio e ragiona su come eliminare o attenuare questo fenomeno. Si è individuato nei social, nel debole filtro che esercitano, nel ritardo con cui eliminano le parole d’odio, uno dei problemi principali. E’ un problema dell’informazione in senso lato, dei social in particolare, e poi dei mezzi di informazione tradizionali che si avvalgono, tra l’altro, dei social per diffondere i loro articoli e utilizzano i social come filtro per i commenti e molto spesso questo filtro non viene esercitato oppure viene esercitato con grande ritardo. Per cui questi messaggi d’odio che sono facili, semplici, suggestivi, consentono di dare sfogo alla rabbia e anziché essere bloccati continuano a circolare. Purtroppo c’è anche chi confonde questo con la libertà di manifestazione del pensiero, ma non ha nulla a che fare, e ritiene che bloccare questi messaggi d’odio sia un atto di censura, rallentando ulteriormente l’azione repressiva che invece deve essere fatta. Questo è come dire che l’ingiuria e la diffamazione sono atti di libera manifestazione del pensiero, ognuno di noi a livello individuale sa benissimo che se è diffamato o ingiuriato non dice che chi lo sta ingiuriando sta esercitando un diritto costituzionale, ma sta commettendo un reato. E questo vale anche a livello collettivo.








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