Il Sudafrica non esca dalla Corte penale internazionale (Cpi): questo l’appello lanciato da mons. Abel Gabuza, presidente della Commissione episcopale sudafricana per la Giustizia e la pace, dopo che il governo locale ha annunciato l’intenzione di lasciare la Cpi, a causa delle critiche subite per non aver arrestato il presidente sudanese Omar al Bashir durante una visita a Johannesburg. Contro Al Bashir la Cpi aveva spiccato un mandato di arresto per genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella regione del Darfur.
Decisione del governo, bocciata dall’Alta Corte di Pretoria
La decisione dell’esecutivo sudafricano è arrivata senza l’approvazione del Parlamento
locale e per questo l’Alta Corte di Pretoria l’ha bollata come incostituzionale, invitando
presidente e ministri a “presentare immediatamente comunicazione di recesso”. “Ribadiamo
il nostro appello al governo - sottolinea mons. Gabuza - a restare all’interno della
Cpi, almeno fino a quando l’Africa non avrà sviluppato una sua Corte regionale efficace,
con la capacità e la volontà di chiedere conto delle responsabilità di tutti i funzionari
e dirigenti statali, ed in particolare dei rappresentanti di governo”.
Il Protocollo di Malabo
Invece di spendere soldi per impugnare la sentenza dell’Alta Corte, quindi – è l’auspicio
di mons. Gabuza – il governo sudafricano dovrebbe investire le sue risorse ed i suoi
sforzi “nella mobilitazione di altri Paesi africani per assicurarsi che un numero
sufficiente di Stati membri ratifichi il Protocollo di Malabo che istituisce una Corte
africana di Giustizia e dei diritti umani”.
Occorrono riforme urgenti ed efficaci
Elaborato nel 2014 dall’Unione Africana, tale protocollo è stato ratificato, finora,
solo da 11 dei 54 Stati africani membri dell’Ua. Infine, il presule esorta il governo
sudafricano a dare ascolto “ai ripetuti appelli per riforme urgenti ed efficaci”.
(I.P.)
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