2017-03-07 17:00:00

Micronesia, Stato insulare che rischia di scomparire


Elezioni parlamentari negli Stati Federali della Micronesia, in Oceania. Tutti i candidati sono indipendenti, poiché nel Paese non esistono partiti politici. Tra le priorità di tutti ce n'è una: combattere il riscaldamento globale, causa dell’innalzamento del livello mare, che minaccia l’esistenza stessa dello Stato costituito da oltre 600 isole, in gran parte atolli. Massimiliano Menichetti:

Gli Stati Federali della Micronesia sono abitati da oltre 135 mila abitanti, la cui priorità è lottare per la propria esistenza, minacciata non da guerre o terrorismo, ma dall’avanzamento delle acque per effetto dei cambiamenti climatici. Lo scorso anno cinque piccole isole disabitate dell'Oceano Pacifico, di Salomon Island, sono state letteralmente inghiottite dal grande blu che cresce, dal 1994, ad una velocità di 7-10 millimetri all'anno per lo scongelamento dei ghiacciai. La Micronesia, guidata dal 2017, dal presidente Peter Christian, ed altre nazioni insulari, che raggiungono pochi metri sul livello del mare, si sono consociate per far sentire la propria voce e chiedere impegni concreti alla Comunità Internazionale. Andrea Masullo, presidente del comitato scientifico di Greenaccord:

R. – C’è una grande minaccia, soprattutto per quanto riguarda le piccole isole oceaniche che non a caso in questo contesto internazionale si sono organizzate tra di loro, presentandosi con un’unica voce. Se restiamo su questa strada l’innalzamento dei mari potrà raggiungere e superare entro la fine del secolo gli 80 centimetri, e a queste vanno aggiunte le ultime analisi che ci parlano di tempeste oceaniche di inusitata violenza che si verificheranno. Praticamente la vita, in gran parte di queste piccole isole che raccolgono qualche milione di abitanti, diventerebbe impossibile.

Papa Francesco nell’Enciclica Laudato si' ha ribadito chiaramente che “il clima è un bene comune, di tutti e per tutti” esortando alla tutela e all’impegno. E il 28 novembre scorso, parlando alla plenaria della Pontificia Academia delle Scienze, ha ribadito che spesso la politica ignora gli allarmi degli scienziati:

“La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza che cercano anzitutto il profitto è dimostrata dalla “distrazione” o dal ritardo nell’applicazione degli accordi mondiali sull’ambiente, nonché dalle continue guerre di predominio mascherate da nobili rivendicazioni, che causano danni sempre più gravi all’ambiente e alla ricchezza morale e culturale dei popoli”.

L’uomo mette a rischio la propria specie”, sottolinea l’oceanografo Sandro Carniel, primo ricercatore presso il CNR – Istituto di Scienze marine di Venezia:

 R. – Nessuno mette in dubbio che il clima sia sempre variato e che la variazione indotta dall’uomo sia una variazione a volte anche piccola rispetto ai cambiamenti che si sono verificati sulla terra. La cosa veramente importante è che questa variazione avviene ad opera di una delle specie che popola la terra che non la sta subendo, ma di fatto la sta esercitando ed imponendo al resto dell’ecosistema. Questo è un cambiamento di prospettiva importante rispetto al quale l’uomo pare, in questo momento, non avere nemmeno gli strumenti culturali per affrontare in maniera veramente conscia la serie di problemi che ne deriveranno. E questo apre degli scenari inquietanti per il futuro, perché nessuno sta dicendo che l’uomo stia mettendo a rischio la biosfera; ma sta mettendo a rischio la propria specie.

Dalle recenti conferenze delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Parigi e Marrakesh, le cosiddette COP21 e COP22, è stato intanto confermato l’impegno alla riduzione dei gas serra che scaldano il pianeta. Le lancette in Micronesia, però, corrono più velocemente che altrove e si cercano soluzioni che non escludono “il diritto d’asilo per cambiamento climatico”, invocato per la prima volta tre anni fa nella piccola nazione di Kiribati nei confronti della Nuova Zelanda.








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