2017-03-16 15:19:00

America First, il bilancio di Trump: meno aiuti e più armi


Concentrazione dei fondi sulla difesa a scapito di ambiente, diplomazia, aiuto estero alla povertà. E’ in sintesi la legge di bilancio che il presidente americano Donald Trump presenta oggi al Congresso e che vede un aumento di circa il 10%, pari a 54 miliardi di dollari, della spesa militare. I tagli più pesanti sono andati all’ambiente, alla sanità, agli affari sociali e, in gran parte anche al dipartimento di Stato e quindi alla diplomazia. Francesca Sabatinelli ha intervistato Raffaele Marchetti, docente di Relazioni Internazionali all’Università Luiss-Guido Carli di Roma:

R. –  Era tutto già stato in parte annunciato durante la campagna elettorale e poi nelle settimane scorse dal presidente Trump. È chiaro che lui sta puntando molto sul settore militare, che è un settore importante strategicamente secondo la sua visione; ma anche politicamente lui ha bisogno dell’appoggio dell’establishment militare. E questo naturalmente a scapito di altri settori che ritiene essere meno significativi da un punto di vista di sicurezza nazionale, come la diplomazia, l’ambiente, come tutte quelle che vengono definite delle voci non di difesa quindi, per esempio, ha intenzione anche di tagliare i sussidi all’arte, all’educazione. Naturalmente naviga entro dei vincoli di bilancio forti, che probabilmente non rispetterà a pieno, ma questo ci spiega la necessità dei tagli: se si vuole aumentare il finanziamento al settore militare, inevitabilmente bisogna tagliare da qualche altra parte.

D. – Questo risponde allo slogan: “America First”…

R. – Questo certamente risponde a quel tipo di slogan. Non ci dobbiamo dimenticare che l’America è già il Paese con il maggior budget militare a livello mondiale. Se noi consideriamo tutto il comparto difesa, il budget militare americano copre intorno al 40-45% del budget totale mondiale per quanto riguarda le spese militari. L’America quindi rimane la superpotenza militare senza rivali a livello internazionale. Detto ciò, il suo margine di vantaggio si sta riducendo in questi ultimi anni, soprattutto da un punto di vista tecnologico e quindi si percepisce, in alcuni ambienti vicini a Trump, la necessità di un maggiore investimento. Naturalmente questo avrà delle conseguenze importanti, perché spingerà all’aumento delle risorse per il budget militare tutti gli altri Stati: sia gli alleati, lo vediamo anche in Italia dove c’è una discussione in questo senso, sia i cosiddetti “rivali”, come la Russia, che ha già annunciato che aumenterà di conseguenza il suo budget militare, e la Cina che lo sta facendo ormai da tanti anni. Questa mossa di Trump avrà un effetto domino, di aumento generalizzato della spesa militare a livello mondiale.

D. – Questa legge di bilancio, comunque non è che ai senatori piaccia, non soltanto i Democratici sono critici, ma lo stesso senatore Rubio ha detto che l’aiuto all’estero non è da intendersi come carità ma come punto “cruciale” per la sicurezza nazionale…

R. – Certamente questa è una proposta che il presidente presenta al Congresso, dopodiché il Congresso dovrà votarla, perché ricordiamoci che negli Stati Uniti qualsiasi questione finanziaria viene decisa dal Congresso e non dalla presidenza. Ci sarà grande opposizione. Io penso che ci sarà una rimodulazione del budget, ma questo rientra un po’ nella logica di Trump, una logica molto sensazionalista e molto dirompente rispetto ai vecchi schemi, secondo questi schemi appunto la diplomazia non è importante. Ovviamente i Democratici, ma anche una parte dei Repubblicani, sostengono invece che qualsiasi programma di sicurezza nazionale non può disgiungere la dimensione militare da quella diplomatica. Cioè: occorre avere buoni ambasciatori e anche buoni militari per poter essere efficace in situazioni di crisi a livello internazionale. Ridurre gli ambasciatori, per così dire, e aumentare i militari in modo sbilanciato, probabilmente potrebbe avere degli effetti nocivi in termini di sicurezza nazionale per gli Stati Uniti. 








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