Provengono per la maggior parte da India, Filippine e Nepal, e sono alla ricerca di un impiego sicuro, come baby-sitter o domestiche. Una volta assunte, molti datori di lavoro garantiscono il giorno libero settimanale e permettono loro di andare in chiesa e di far visita agli amici, ma molti altri si comportano da padroni e le trattano come vere e proprie schiave. Per le donne cristiane asiatiche in cerca di un futuro migliore nei Paesi della penisola arabica, spesso la realtà è fatta di abusi e soprusi. A denunciarlo è World Watch Monitor (Wwm) — sito impegnato a raccontare le ingiustizie patite dai cristiani nel mondo a causa della loro fede che, in un recente rapporto ripreso da Riforma.it e dall’Osservatore Romano, descrive in maniera particolareggiata alcune delle sofferenze sopportate da queste donne, assunte presso ricche famiglie arabe che prediligono le baby-sitter e le domestiche di fede cristiana per la loro integrità e affidabilità.
I datori di lavoro si ritengono “proprietari” delle ragazze
Virat (il nome è di fantasia), di origine asiatica, pastore di riferimento di alcune
di queste lavoratrici cristiane, spiega a Wwm le ingiustizie inflitte a molte di coloro
che lasciano i propri paesi di origine per lavorare e provvedere al sostentamento
delle proprie famiglie e che si ritrovano invece vittime di una moderna schiavitù.
Spesso denutrite, sono costrette a lavorare «come macchine» con orari disumani, a
volte senza neanche percepire lo stipendio. In alcuni casi subiscono torture, violenze
fisiche e abusi sessuali. I datori di lavoro, ritenendosi “proprietari” delle ragazze,
le trattano come “schiave”, confiscano i passaporti quando iniziano a lavorare presso
le loro abitazioni, impedendo in questo modo qualsiasi tentativo di fuga. «Una tata
che seguivo — racconta Virat — ha subito per decenni ogni genere di sopruso prima
che potesse fuggire e mettersi in salvo». Alcune giovani fortunatamente riescono a
scappare e a trovare rifugio in case sicure gestite dalle ambasciate asiatiche, dove
attendono i documenti di viaggio per poter fare ritorno in patria.
“Sequestri di persona” e violenze
Certe testimonianze parlano di veri e propri “sequestri di persona” da parte dei datori
di lavoro, responsabili di abusi e torture. Sarebbero centinaia le donne che vivono
una simile condizione di sfruttamento e schiavitù. Fra l’altro, una volta noto che
queste donne hanno subito violenza, è assai difficile per loro trovare una nuova occupazione
o che qualcuno accetti di sposarle. Vengono considerate dei “fallimenti” dalle loro
stesse nazioni, oltre che dalle proprie famiglie, e a volte il trauma è così forte
da spingerle al suicidio. Virat racconta di aver sentito perfino storie di bambinaie
uccise e fatte sparire. Altre sono state sistematicamente picchiate, private del cibo,
costrette a dormire non più di tre ore a notte, limitate negli spostamenti esterni
e nelle frequentazioni.
Vittime di una moderna schiavitù
«Il sogno di lavorare sodo per guadagnare i soldi sufficienti per mantenere la loro
famiglia viene brutalmente infranto dalla dura realtà di una moderna schiavitù. Un
comportamento, quello di agire come padroni o proprietari, insito in molte famiglie
ricche e tramandato da generazioni. E i governi di queste povere vittime — è ancora
il pastore protestante a parlare — spesso chiudono un occhio davanti a tali ingiustizie».
Nel 2013, per la prima volta nella storia del paese, l’Arabia Saudita ha approvato
il divieto di ogni forma di violenza fisica e sessuale compiuta a casa e sul posto
di lavoro, reato punibile con la detenzione fino a un anno e con il pagamento di una
multa. Ma la misura non ha portato a significativi risultati. In un recente rapporto,
Amnesty International ha affermato che donne e ragazze subiscono gravi discriminazioni
e non sono adeguatamente protette da abusi e violenze in alcune nazioni della penisola
arabica. Anche Human Rights Watch ha ripetutamente denunciato la situazione, affermando
che milioni di lavoratori migranti subiscono abusi e sfruttamento «pari alle condizioni
del lavoro forzato».
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