2017-03-23 14:58:00

Is rivendica attacco a Londra. May: non abbiamo paura


Il sedicente Stato islamico ha rivendicato l’attacco di ieri a Londra, dove un uomo ha investito i passanti sul ponte di Westminster, uccidendo due persone, e ha accoltellato a morte un agente, prima di essere ucciso. Le perquisizioni in diverse zone del Paese hanno portato al fermo di 8 persone. Oggi il premier britannico, Theresa May, parlando davanti ai deputati riuniti a Westminster ha detto: "Non abbiamo paura, non cederemo al terrorismo”. Il servizio di Elvira Ragosta:

L'Is rivendica l'attacco di Londra dal web, sostenendo che a compierlo sia stato un “soldato del califfato”. Intanto, le perquisizioni effettuate dalla polizia britannica in diverse zone del Paese hanno portato al fermo di otto persone: potrebbero essere fiancheggiatori dell’uomo che ieri a seminato il terrore a Westminster e che, secondo le indagini, ha agito da solo. La premier britannica Theresa May ha esortato la gente ad essere vigile ma a non farsi intimorire dalla minaccia islamista. Intanto resta confermato a 4 il numero delle vittime: oltre all’attentatore e all’agente, a perdere la vita anche una donna e un uomo. Mentre dei 40 feriti, almeno una trentina restano ricoverati in ospedale. Il sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha invitato i londinesi a unirsi a lui in una veglia organizzata per oggi alle 18,00 a Trafalgar Sqare, per ricordare le vittime. Intanto Londra oggi ha ripreso la sua vita normale. E’ stato riaperto il ponte di Westminster e la polizia della capitale sta liberando dalle transenne anche altre zone del centro che erano state chiuse per questioni di sicurezza.
Sul significato che quest’attacco ha avuto per l’Europa abbiamo intervistato Arturo Varvelli, responsabile dell’Osservatorio sul terrorismo dell’Ispi:

R. - Innanzitutto è un evento che per noi è carico di simbolismi perché avviene nel momento in cui l’Europa si appresta a celebrare i propri 60 anni. Quindi, il caso di questa persona che compie un attentato simile è capace di oscurare qualcosa di positivo, di cambiare mediaticamente il nostro sguardo. L’Europa in qualche modo deve dare una risposta non solo a questa ma a numerose sfide che ha sul terreno, a cominciare da quella della propria efficacia, della propria capacità di rispondere alle esigenze dei cittadini. Troppo spesso l’Europa, talvolta non naturalmente per colpa propria, è stata indicata come la responsabile di molti mali che affliggono l’Occidente. Non è così ma bisogna essere capaci di parlare in un’altra maniera rispetto a quanto è stato fatto finora: tornare a parlare ai cuori e alle menti delle persone che poi alla fine sono gli stessi cuori e le stesse menti a cui mira anche il messaggio radicale islamista che sia Daesh o Al Qaeda o qualunque altra organizzazione a portare.

D. - Quali sfide si aprono ora per la sicurezza in Europa?

R. - La sicurezza in Europa è sotto attenzione e deve affrontare diverse sfide da almeno due anni, da quando nel 2014 Daesh si è creato e poi ha cominciato a portare i primi attacchi nel 2015 sul suolo europeo. Ma le sfide sono naturalmente ancora quelle degli ultimi mesi: una maggiore collaborazione tra i servizi di intelligence; una maggiore capacità di capire quali sono le cause della radicalizzazione - e su questo siamo ancora piuttosto indietro; perché capire quali siano le cause, che siano cause di marginalizzazione sociale, di marginalizzazione politica, questioni identitarie all’interno delle seconde e terze generazioni, e come affrontare queste cause - potrebbe favorire di fatto la sconfitta di questa visione radicale e oltranzista dell’islam.

D. – Cosa possiamo dire sulla radicalizzazione in Gran Bretagna?

R. – La radicalizzazione in Gran Bretagna ha una lunga storia. E’ forse uno dei Paesi che ha visto per primo nascere il fenomeno. E’ un Paese che ha ospitato involontariamente alcuni predicatori radicali per un lungo periodo, che ha visto formarsi delle cellule che poi hanno colpito - bisogna ricordare gli attentati degli anni 2000; c’è una sorta di comunità variegata musulmana proveniente da diversi Paesi che talvolta ha trovato complessa l’integrazione all’interno della seppur molto liberale comunità britannica. La Gran Bretagna è un Paese che aveva già messo sotto attenzione il fenomeno. Ha un servizio di intelligence anche molto allenato in ciò. Ci sono i programmi di deradicalizzazione che ha già messo in corso, la compostezza con la quale ha risposto è già sintomatica di come la Gran Bretagna stia affrontando questo fenomeno.

D. – Le immagini di Londra di ieri dal punto di vista psicologico per l’Europa che effetto hanno e avranno?

R. – Non dovrebbero avere un effetto controproducente. Qualsiasi organizzazione terroristica in realtà mentre colpisce l’Occidente ci colpisce nel fisico ma punta a colpirci anche nel nostro intelletto, nella nostra percezione che abbiamo della comunità islamica: punta a mettere un cuneo tra il “noi” inteso come i cittadini occidentali bianchi e il “loro”, cioè i cittadini della comunità musulmana. E punta a farsi campione di questa comunità musulmana utilizzando strumentalmente l’islam e l’islam radicale come elemento di coagulo. E’ esattamente la narrativa di Daesh, che dobbiamo evitare.

D. – Intanto aumentano i timori, aumentano le misure di sicurezza, non solo a Londra non solo Roma. Questo che conseguenze può avere?

R. – E’ giusto che ci siano misure di sicurezza adeguate. Sappiamo benissimo che nessuna di queste misure ci può mettere al riparo da un singolo attentatore che compie un attentato con un coltello o con un auto. Quindi, in realtà, tutto quanto dobbiamo fare va fatto, però dobbiamo anche essere consapevoli che rimarremo esposti in qualche misura a questo: è una minaccia piuttosto relativa da questo punto di vista ma dobbiamo imparare a convivere con questa.








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