2017-04-18 09:00:00

Rete ecumenica difende comunità sudamericane da industrie minerarie


Centottantacinque vittime, tre persone uccise a settimana nel 2015. E’ il drammatico bilancio dei conflitti ancora in corso in America Latina tra le comunità locali e i grandi colossi del ferro che, spesso con la connivenza della politica, hanno sfruttato le miniere, deviato i corsi dei fiumi, costruito vicino le case altiforni senza alcun filtro per ridurre le emissioni. Al fianco delle comunità opera da anni “Iglesias y Mineria”, una rete ecumenica che offre sostegno e aiuto per la tutela dei loro diritti. Ce ne parla Benedetta Capelli:

Non è solo la terra che, anni fa, le compagnie minerarie si prendevano per costruire i loro impianti. L’acqua usata per irrigare i campi veniva contaminata da sversamenti di liquidi con conseguenze nefaste per l’agricoltura della zona. Spesso anche l’aria si faceva irrespirabile e così si iniziava a morire. Un copione che in moltissime parti dell’America Latina si è ripetuto, mettendo in pericolo la vita delle comunità locali. Una violenza anche sul Creato che Papa Francesco, nell’Enciclica Laudato si, ha esortato a rispettare, chiedendo di collaborare nella tutela della “casa comune”, contrastando le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei poveri e degli esclusi, lavorando per uno sviluppo integrale, inclusivo e sostenibile. Padre Dario Bossi è un missionario comboniano, da dieci anni in Brasile, responsabile della rete ecumenica “Iglesias y Mineria”:

“Sono conflitti che fanno violenza sui territori e sulle comunità e sono conflitti che si ripercuotono anche sulla sicurezza delle persone, dei leader locali che cercano di difendere i loro territori, si espongono e molte volte finiscono per essere uccisi. Il martirio di molti che difendevano i loro fiumi, le loro foreste, ci ha stimolato e provocato a mettere in piedi una rete per proteggerli. Oggi, soprattutto in America Latina, i conflitti socio-ambientali sono quelli che mietono più vittime, tra l’altro anche religiosi, a volte sacerdoti, suore o anche sindacalisti, professori, catechisti che cercano di difendere i loro territori. E, tra l’altro, è documentato che la maggioranza di queste vittime è esattamente quella che si oppone alle imprese minerarie. Quindi, è una sfida urgentissima molto attuale in cui la Chiesa deve mettersi in gioco e già lo fa, questa è la cosa bella”.

Nel 2015, in Vaticano, si tenne la Giornata di riflessione sul tema: “Uniti a Dio ascoltiamo un grido”. Almeno trenta rappresentanti di comunità colpite da attività minerarie provenienti da Asia, Africa e America fecero sentire la loro voce, il grido degli oppressi e della terra ma da allora solo poche cose sono cambiate. Ancora padre Bossi:

“Il modello economico che ancora vige nell’intera America Latina è il modello estrattivista: è un modello insostenibile, non ha futuro. Però, purtroppo, è il presente che la politica e l’economia hanno scelto oggi. E’ qualcosa che ci preoccupa molto perché passa sopra come un bulldozer alle comunità, ai loro diritti, alle loro stesse opinioni. Non c’è neppure la consulta delle comunità. La situazione non è cambiata, anzi secondo me è peggiorata. Quello che è migliorata è una capacità di organizzazione, di interazione tra le comunità e di costruzione di reti come la rete ‘Iglesias y Mineria’ e anche la nuova rete ecclesiale panamazzonica, che vuole difendere l’Amazzonia”.

Emblematica la vicenda della comunità brasiliana di Piquià del Baixo che ha vinto una causa contro gli impianti siderurgici della zona, ma che lotta per i risarcimenti e teme che il governo non rispetti la promessa di creare in un luogo più sicuro un nuovo villaggio:

“E’ una comunità su cui sono stati fatti parecchi studi, il più importante nel 2011, dalla Federazione internazionale dei diritti umani che ha dimostrato la gravità degli impianti. Più recentemente l’istituto dei tumori a Milano ha fatto uno studio in Piquià, in questa comunità, dimostrando che il 28 per cento dei suoi abitanti soffre problemi polmonari gravi, provocati dall’inquinamento. Quindi è una comunità che sta denunciando, che ancora soffre per l’inquinamento però che vede anche una via di uscita per il suo problema”.

Oggi il segreto è fare rete – confessa padre Bossi – perché solo insieme si può essere ascoltati:

“Insieme alla gente, camminando e cercando di capire, abbiamo compreso che forse la strategia più efficace per affrontare i problemi ambientali è quella di mettersi in rete, perché sono problemi che si scaricano in modo diverso, su diverse comunità; noi lavoriamo con comunità indigene, con comunità afrodiscendenti, con pescatori, con agricoltori, famigliari, con comunità di piccole periferie urbane. Quindi immaginatevi che sono situazioni anche molto diverse. Abbiamo compreso che quando queste diverse comunità si mettono assieme, si comprendono come vittime di un sistema e che questo sistema deve essere ripensato, come ben dice la Laudato si’, allora incominciamo ad avere forza perché abbiamo visibilità, intercambiamo strategie di azioni, abbiamo più solidità. Quindi credo che il segreto della rete, dell’ascolto dei piccoli che si mettono insieme, è stato quello che ci ha un po’ orientati in questo cammino. La gente dal basso può rifare la storia, essere ‘poeta sociale’, come diceva Papa Francesco”.








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