2017-04-20 10:48:00

Conferenza sui detriti spaziali: 750mila oggetti in orbita


E' in corso a Darmstadt, in Germania, la settima “Conferenza europea sui rischi dei detriti spaziali”. Si svolge presso il Centro Operazioni Spaziali dell’Esa, l'Agenzia spaziale europea. Scienziati, ingegneri, responsabili politici e rappresentanti del mondo accademico discutono sulle gravi problematiche legate all’aumento dei detriti in orbita: sono circa 750mila gli oggetti più grandi di un centimetro che ruotano introno alla terra alla velocità di 40mila Km/h; solo 18mila sono abbastanza grandi da essere regolarmente monitorati. Giorgio Saracino ne ha parlato con il dott. Luciano Anselmo, ricercatore dell’Istituto di Scienza e Tecnologia dell’Informazione di Pisa:

R. – I detriti spaziali propriamente detti sono tutti quegli oggetti di origine artificiale, quindi prodotti dall’uomo e dalle attività spaziali, che sono iniziate circa 60 anni fa e che rimangono in orbita attorno alla Terra senza svolgere più alcuna funzione. Sono satelliti o stadi di lanciatori usati per portare in orbita i satelliti; oppure spesso si tratta anche di veri e propri frammenti, di pezzi prodotti dall’esplosione o dalla collisione di alcuni di questi satelliti o di questi stadi nel corso degli anni.

D. – Qual è il problema che rappresentano?

R. – Ora il problema è rappresentato dal fatto che nel corso delle attività spaziali il numero di questi oggetti abbandonati in orbita è molto cresciuto: oggi intorno alla Terra ce ne sono circa 20 mila con dimensioni superiori ai 10 centimetri. Ovviamente la presenza crescente di questi oggetti crea problematiche sia in orbita, sia sulla Terra. In orbita perché avere tanti oggetti non controllati, abbandonati, che riempiono lo spazio aumenta progressivamente la probabilità di collisione con satelliti funzionanti o anche con veicoli spaziali con uomini a bordo. Per quanto riguarda invece la Terra, l’eventuale rientro incontrollato di oggetti molto grandi e molto pesanti, capaci di resistere in parte alle condizioni estreme che si incontrano durante il rientro in atmosfera, può provocare potenzialmente dei danni anche sulla superficie terrestre ed eventualmente anche colpire qualcuno.

D. – Quali possono essere eventuali soluzioni?

R. – Le soluzioni si stanno discutendo a livello internazionale già da diversi decenni; diverse misure di mitigazione sono già state messe in pratica. Quello che si è fatto finora è stato soprattutto cercare di limitare quanto più possibile la produzione di nuovi detriti, quindi evitare che i nuovi satelliti o i nuovi stadi che vengono lanciati nello spazio a un certo punto possano esplodere, possano frammentarsi creando centinaia o migliaia di detriti spaziali. Altre misure che sono state discusse e in parte vengono applicate, consistono nello spostare i satelliti, una volta che hanno finito la loro vita e la loro funzione, in regioni meno affollate. Cioè, prima di abbandonarli definitivamente, manovrarli in modo che o rientrino in maniera controllata sulla Terra, in zone desertiche, in particolare in aree oceaniche disabitate, oppure cercare di spostarli su delle orbite che ora sono praticamente spopolate.

D. – Cosa possiamo aspettarci dal futuro?

R. – In futuro si spera di ricorrere a soluzioni più radicali, che sarebbero quelle di andare a riprendere nello spazio gli oggetti abbandonati, in particolare quelli di grande massa, quelli abbastanza grandi; catturarli in qualche modo e riportarli a terra, farli rientrare nell’atmosfera sempre in aree disabitate in maniera controllata. Però, ovviamente, questo cosiddetto “recupero attivo” degli oggetti spaziali in orbita, presenta l’inconveniente molto grave di essere estremamente costoso, perché per recuperare un oggetto morto si spenderebbe quanto per lanciarne uno nuovo.








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