2017-05-03 13:23:00

Putin e Trump a colloquio su Siria e Corea del Nord


Contatti ad alto livello in corso sulle crisi del mondo. Dopo il recente colloquio telefonico, il presidente americano Trump e quello russo Putin potrebbero avere a luglio il primo faccia a faccia in occasione del G20. Intanto il capo della Casa Bianca ha ricevuto il presidente palestinese Abu Mazen, mentre Putin ha incontrato il cancelliere tedesco Angela Merkel. Sulle motivazioni di questi contatti, Giancarlo La Vella ha intervistato Germano Dottori, docente di Studi Strategici alla Luiss “Guido Carli” di Roma:

R. - Il presidente americano intende promuovere un’azione di stabilizzazione a vasto raggio e non proseguire, certamente, sulla strada che ha portato negli scorsi anni all’accentuazione dell’instabilità. Questo perché soltanto un mondo più stabile può consentire all’America di ripiegare su se stessa, di concentrarsi sulla soluzione dei propri problemi interni e, soprattutto, sul rilancio delle proprie capacità manifatturiere, che è un po’ l’obiettivo a cui Trump ha legato non poche delle sue fortune elettorali. I problemi che sono insorti con Putin nel passato recente sono stati in larga misura determinati dalla necessità di Trump di proteggersi rispetto all’accusa di essere un presidente eccessivamente filorusso in un Paese che, evidentemente, fatica ancora a digerire alcuni riflessi della lunga eredità della Guerra Fredda.

D. - Questo dialogo potrebbe diventare a tre con l’inserimento anche della Cina?

R. - Ritengo che al momento Trump privilegi soprattutto i contatti bilaterali a seconda della crisi o del teatro regionali di riferimento. È evidente che nel caso della Corea del Nord l’interlocutore principale di Trump è proprio la Cina, mentre in Medio Oriente è chiaro che la Russia è un interlocutore privilegiato degli Stati Uniti. Vedo meno forte un ruolo della Russia invece nel teatro nordcoreano.

D. - Questi colloqui fanno pensare al tentativo di porre fine definitivamente alla crisi più grave, che è quella siriana?

R. - Sicuramente c’è l’intenzione di lavorare insieme per rendere più vicina la soluzione del problema siriano. Penso che comunque la soluzione sia ancora abbastanza lontana, perché non ci sono realtà sul terreno che la permettono. Per fare la pace in Siria bisogna che le varie componenti, che si sono affrontate in questi anni, stabiliscano delle proprie aree di controllo principale, per poi dar vita, su queste basi, ad una specie di confederazione, un po’ come è accaduto a suo tempo negli Anni ’90 in Bosnia Erzegovina. Gli accordi di Dayton hanno consentito di porre fine a una strage di straordinaria violenza. Quindi anche quella potrebbe essere una soluzione che va preparata. Ovviamente occorre anche venga sconfitto lo Stato Islamico. Comunque è importante che gli Stati Uniti e la Russia collaborino su questo dossier, perché altrimenti non si va molto lontani. Ma credo che, di fatto, non abbiano mai smesso di dialogare e comunque di fare delle cose insieme, anche al riparo da sguardi indiscreti.








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