2017-05-03 13:05:00

Svolta in Libia dopo l'accordo tra Al Serraj e Haftar


Svolta in Libia dove il premier Al Sarraj e il generale Khalifa Haftar hanno raggiunto un accordo per mettere fine alla crisi nel Paese, che prevede nuove elezioni entro marzo 2018 e lo scioglimento di tutte le milizie irregolari. Secondo i media arabi i due leader si sarebbero anche accordati per porre le forze armate sotto il controllo di un nuovo consiglio presidenziale. Cecilia Seppia:

L’incontro ad Abu Dhabi ha portato frutti migliori di quelli sperati e dopo tre ore di faccia a faccia il premier libico dell’esecutivo di unità nazionale, sostenuto dall’Onu, Fayez Al Sarraj, e il suo rivale, il generale Khalifa Haftar uomo forte della Cirenaica, hanno trasformato il braccio di ferro in una stretta di mano che si spera servirà a mettere fine alla crisi nel Paese. Ma cosa c’è dietro questa intesa che inizialmente sembrava essere un’invenzione dei media arabi? Arturo Varvelli, analista dell’Ispi, esperto dell’area.

"Sì, pur nelle incertezze che abbiamo ancora sui dettagli dell’accordo, pare che questa intesa sia stata perlomeno raggiunta verbalmente e sarà poi ratificata a metà maggio. È frutto di due tipologie di pressioni: da una parte, le pressioni che il generale Haftar ha subito in questi mesi da parte dell’Egitto, degli emiratini stessi e della Russia soprattutto; pressioni che andavano nella direzioni di incontrare al-Sarraj. Secondo punto: l’appoggio che al-Sarraj aveva da parte della comunità internazionale, e occidentale in particolare, è andato via via con il tempo sempre più disgregandosi, sciogliendosi; e l’ultimo tassello del puzzle che è venuto meno è naturalmente il mancato supporto dell’amministrazione Trump, minimamente paragonabile a quella che al-Sarraj aveva ricevuto dalla precedente amministrazione Obama”.

Elezioni entro marzo 2018, scioglimento delle milizie locali e comando condiviso delle forze armate, oltre alla formazione di un organismo che affiancherebbe, fino a sostituirlo, l'attuale Consiglio presidenziale di Tripoli e che sarebbe formato da un particolare triumvirato: Al Sarraj, Khalifa Haftar e il presidente del Parlamento di Tobruk, Aghila Saleh. In pratica un presidente e due vice, invece dei 9 membri dell’attuale governo. Un cambiamento radicale, gravato però da tanti punti interrogativi. Ancora Varvelli:

“I punti controversi di quest'intesa sono moltissimi, ma la nota più dolente di tutte è il fatto che l’autorità civile, l’autorità politica, sarà con molta probabilità sottomessa a una autorità militare o comunque vi sarà una prevalenza dell’autorità militare su quella civile. Questo pone la Libia verso sempre più il modello egiziano di al-Sisi e sempre più lontano invece da una democrazia un po’ più radicata sul modello tunisino”.

Di svolta significativa parlano gli Emirati Arabi, plauso anche dall’Egitto, mentre la comunità internazionale occidentale mostra un cauto ottimismo. Secondo molti analisti infatti, l’accordo potrebbe essere una mossa di Haftar che starebbe adottando una nuova strategia accettando di giocare per qualche mese secondo le regole dell’Onu, per avere in cambio la garanzia di elezioni presidenziali all’inizio del prossimo anno. Elezioni che come fu nel 2014, potrebbero però innescare nuove violenze. Sentiamo Varvelli:

“Il nuovo sistema già mette il Paese nelle mani di Haftar. Quindi, a questo punto, non è più Haftar che deve essere osservato, ma il campo dei suoi oppositori. Bisognerà vedere in realtà se Sarraj sarà in grado di far rispettare l’accordo da parte di alcuni miliziani molto importanti, soprattutto nella Tripolitania, che lo hanno appoggiato; oppure se questi ultimi in qualche maniera si sentiranno traditi da questo accordo. È vero, ad esempio, che le forze misuratine si sentono delle forze – come dire – molto stanche: hanno combattuto contro lo Stato Islamico; fronteggiano rivali e complicanze in Tripolitania ormai da lungo tempo; quindi c’è una sorta di assuefazione e anche forse di accettazione del ruolo di Haftar che prima non c’era. Ma ci sono altri fronti che si potrebbero surriscaldare, soprattutto appunto in Tripolitania; e potrebbe tornare in auge un revival islamista. In pratica bisognerà vedere come questo accordo verrà in qualche maniera tollerato: è molto facile, sulla carta, parlare di scioglimento delle milizie, ma poi bisognerà naturalmente vedere quali incentivi avranno questi miliziani a sciogliersi. In realtà, la Libia avrebbe bisogno di una fase costituente più ampia, nella quale molti degli attori, sociali, locali, le municipalità, i gruppi partitici e anche in parte i miliziani che accettano di partecipare a un gioco democratico, vengono coinvolti dal basso. Questo tentativo è stato fatto un po’ con l’accordo di Skhirat di due anni fa, ma in realtà è parzialmente fallito. Però ci sarebbe bisogno di fare nation building. Questo ancora però non si intravede in Libia”.








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