2017-05-05 16:12:00

Sfide e risorse delle Chiese orientali, Mons. Gugerotti


Il Pontificio Istituto Orientale e la Congregazione per le Chiese Orientali hanno celebrato il centenario di fondazione con un convegno internazionale che ne ha ripercorso la storia e ne ha tracciato le sfide pastorali per l'oggi. Ha partecipato anche S.E. Mons. Claudio Gugerotti, attualmente Nunzio Apostolico in Ucraina, il cui percorso personale è profondamente intrecciato con queste realtà di formazione e di scambio culturale. Ai nostri microfoni il presule ha approfondito il carattere inevitabile della problematica ecumenica ed interreligiosa oggi.

"In un mondo che diventa sempre più agnostico, se i credenti si permettono il lusso di passare il tempo a contestarsi sulle virgole di anni passati, vuol dire che noi ci prendiamo, di fronte a Dio e alla storia, una responsabilità gravissima perché facciamo mancare una voce nell’oggi per litigare sulla voce di ieri", così Mons. Gugerotti, che precisa le difficoltà comunque in ballo, "anche perché - dice - c’è una sfasatura cronologica tra l’Oriente e l’Occidente. Quando l’Occidente sale al massimo, l’Oriente è al suo minimo per ragioni storiche, e quando vi sono meccanismi di equilibrio, non sempre le due cose corrispondono".

L'ecumenismo dopo il viaggio del Papa in Egitto

"Il dialogo continua anche sotto la forte spinta di questo Papa che lo pone nella testimonianza, nel gesto, nell’incontro interpersonale. Per lui il dialogo viene prima di tutti presupposti che possono determinarne la razionale possibilità. Lui pone l’incontro prima perché da questo nascono le possibili conseguenze ermeneutiche della storia passata". Questo capovolgimento di prospettiva potrà avere dei frutti? "Io credo di sì - risponde il Nunzio - ci vuole molta pazienza, però. Perché non c’è solo il Papa che incontra, ma ci sono faglie della storia che continuano a muoversi, di carattere continentale. C’è una situazione mondiale di tale marasma che è molto difficile immaginare che cosa possa essere l’esito di questa problematica specifica, travolta nella drammaticità dei fatti, anche militari. Molto difficile che ci sia un conflitto locale che non coinvolga responsabilità a livello universale, anche il conflitto in Ucraina si vede bene che ha questa caratteristica. Quindi, noi facciamo il possibile tenendo presente che il dialogo non è per niente di moda, l’accordo e il tentativo di mediazione sono considerati una forma di debolezza di fronte al proprio popolo, per paura di essere considerati dei pavidi si preferiscono posizioni molto forti, ma questo vale anche per l’Europa".

La difficile missione della Congregazione 

"La Congregazione per le Chiese orientali nasce come un avamposto di presenza orientale nella Chiesa cattolica e finisce per essere considerata una retrovia, una specie di residuato storico di una esperienza che non è più reale", spiega Gugerotti. Chi lo pensa?: "C’è una grossa linea di pensiero, anche interna alla Chiesa cattolica, non rara nemmeno nelle Chiese orientali ortodosse, le quali, tutte impegnate a riscoprire le proprie rispettive identità vere o presunte, ritrovano nelle Chiese orientali cattoliche una specie di svarione rispetto a quello che sono o avrebbero voluto essere o vorrebbero essere oggi. In questo senso le Chiese orientali sono anche una salutare spina nella carne per indurre le semplificazioni storiche ad essere definitivamente abbandonate per guardare la complessità delle cose senza il criterio esplicito del ‘noi avevamo ragione, voi avevate torto’. La storia - chiarisce - non è fatta esplicitamente e primariamente di giudizi morali ma di comprensione di fatti".

Come vive in Ucraina oggi la comunità cattolica?

Mons. Gugerotti spiega che la comunità greco-cattolica è molto numerosa, che ha avuto un grande sviluppo dopo il periodo della persecuzione comunista e che si è aperta a prospettive territoriali molto diverse rispetto al passato. "Essa convive con la Chiesa latina che ha un’altra storia e sensibilità. Il primo dialogo, dunque, si cerca di farlo avvenire dentro la Chiesa cattolica nelle sue varianti. In un Paese in cui le divisioni di carattere confessionale sono enormi e profonde, e molto spesso legate a fattori politici cangianti, il problema delicato è anche quello di contestualizzare chi è il tuo interlocutore in questo momento. Con chi puoi parlare, con chi ti è dato di parlare, ammesso che qualcuno voglia ascoltarti. Il grande problema dell’Ucraina - sintetizza - è di riconciliazione nazionale, di percezione delle diversità interne come ricchezza anziché come contrapposizione affiliata a conflitti mondiali o esterni al Paese. E’ questa la grande sfida senza la quale anche la credibilità delle nostre posizioni ecumeniche sarà inficiata". E aggiunge: "Io personalmente credo che molta parte delle situazioni di difficoltà sono spiegabili a partire dalle culture, di cui la teologia è parte. E l’influsso delle culture sulla teologia è molto più forte dell’influsso della teologia sulle culture. Quindi l’apertura e la disponibilità ad ascoltare l’altro nella sua verità - e anche a favorirlo nella verità che non può dire o che non vorrebbe dire o che non si rende conto di avere - è un atteggiamento di grande servizio ecumenico che poi ha anche un effetto molto sano in chi lo promuove. Perché tu non puoi chiedere all’altro ciò che non fai tu".

La 'diplomazia della carità' di Papa Francesco

Il Papa ha molto a cuore la situazione del popolo ucraino e ha deciso di mettere a punto un programma di aiuti umanitari molto consistente…"E’ l’aiuto umanitario più grosso che la Chiesa cattolica ha fatto nella sua storia in termini quantitativi", spiega ancora il Nunzio. "Diciotto milioni di euro che sono stati messi a disposizione dei rifugiati interni del Paese (più di due milioni), con situazioni drammatiche e anche molto contradditorie. Il problema delicato è anche riuscire a capire che prima di tutto c’è la persona sofferente, senza chiedere passaporti e neanche certificati di battesimo, quando sono battezzati. Questa è secondo me la genialità della intuizione del Papa, il quale dice: 'io non chiedo un aiuto ai cattolici, io chiedo un aiuto per tutti. Cercate voi i mezzi per realizzare questo scopo, deve essere chiaro che questa è un’azione diplomatica'. E’ l’azione diplomatica della carità: quando le armi continuano a non voler tacere, parlino almeno i gesti d’amore. Per me è un impegno notevole, si tratta di spostarsi continuamente dalla capitale alle zone di guerra, considerare lo stato dei nervi di questa gente che da tre anni è costantemente bombardata. La condizione dei bambini, il freddo, l’istruzione, la mancanza di medicinali, il voluto ostacolo alle comunicazioni creato per legge, anche questa è una cosa difficilmente comprensibile per noi". E conclude: "Questo conflitto diventa un conflitto con vittime designate e mi richiama troppo da vicino altri popoli che hanno dovuto pagare con la propria quasi estinzione il gioco dei potenti. La situazione dell’Ucraina è drammatica perché rischia di diventare la soppressione sistematica di una parte del popolo e della cultura. Nel silenzio, come nel silenzio sono avvenuti gli altri nella storia dell’umanità. Non cambia niente".








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