2017-05-19 13:03:00

Vescovi Venezuela: popolo scenda in piazza per evitare dittatura


“Riaffermiamo la nostra vicinanza al popolo che si esprime oggi nelle strade e in altri ambiti della società in difesa dei loro diritti violati da chi sta profanando la Costituzione”. Con queste parole, i vescovi della Conferenza episcopale venezuelana hanno denunciato la crescente violazione dei diritti umani e la violazione della Costituzione del Paese. Nell’Esortazione pastorale presentata alla fine di una Assemblea Straordinaria, ieri sera, i presuli hanno ribadito che la proposta del governo di riformare la Costituzione non solo non è necessaria  ma è anche "pericolosa per la democrazia venezuelana, per lo sviluppo umano integrale e per la pace sociale”. In questo contesto, la Chiesa incoraggia il popolo a manifestare le proprie legittime richieste in forma pacifica. “Il popolo è il vero soggetto sociale della democrazia” e la forma “privilegiata” per uscire dalla crisi è il ricorso al voto. Sulla grave situazione nel Paese, Alina Tufani ha intervistato mons. Diego Padrón, presidente della Conferenza episcopale venezuelana:

R. – Abbiamo ribadito che siamo i pastori del popolo di Dio e perciò, nel nome di Dio, noi chiediamo al nostro popolo di essere consci della gravità di questo momento e allo stesso tempo di favorire tutto ciò che porta alla vita e condannare tutto ciò che porta alla morte. Lo diciamo perché vogliamo mettere in rilievo il diritto che ha il popolo a manifestare le sue opinioni. Perciò la lotta si fa anche nel confronto delle idee perché ci sono due visioni diverse della situazione: la visione restrittiva del governo che vuole soltanto considerare giusto ciò che propone e la visione del popolo che manifesta il suo diritto a pronunciarsi contro il governo.

D. - Voi ribadite il vostro rifiuto alla proposta del governo di una assemblea per la riforma della Costituzione, riforma che considerate pericolosa…

R. – Certo. Pericolosa nel senso del cambiamento della natura propria dello Stato venezuelano. Noi siamo uno Stato di giustizia, di diritto, democratico e la Costituente vuol dire tutt’altro, vuole un Paese dove il popolo abbia la capacità di eleggere i suoi rappresentanti; invece, secondo questa nuova idea della Costituente i rappresentanti del popolo saranno eletti da un organismo e cioè il voto sarà attraverso un’elezione di secondo grado. Perciò noi non possiamo ammettere questa Costituente che è interamente contro la Costituzione che definisce la natura del nostro Stato come uno Stato democratico, che vuol dire la possibilità di espressione del popolo a livello generale e individuale.

D. -  Per difendere lo stato di diritto le strade sono piene di persone che manifestano e anche rischiano la vita per la forte repressione che c’è di questa protesta…

R. - Noi abbiamo l'alternativa tra la vita e la morte e l'alternativa tra lo Stato democratico e la dittatura. Dobbiamo essere consapevoli che vale la pena lottare in strada oppure avremmo una situazione di dittatura, cioè di soggezione a un sistema che abbiamo visto in altri Paesi che alla fine non funziona perché porta soltanto la povertà e la miseria ai popoli.

D. – Voi parlate anche della crisi economica, parlate di mancanza di cibo e di medicine…

R. – E’ una realtà della vita ordinaria in questi due ultimi anni che viviamo tutti, anche noi vescovi proviamo la mancanza di ciò che è fondamentale per vivere. Non possiamo vivere in condizioni normali, la qualità della vita si abbassa, perciò posso ribadirlo: noi dobbiamo andare in strada, manifestare, è un diritto naturale, costituzionale. Noi non chiediamo al popolo di sacrificare la vita ma vogliamo che il popolo abbia coscienza che dobbiamo difendere la vita.

D. – Avete sottolineato la violenza repressiva da parte delle autorità ma anche dei gruppi paramilitari conosciuti come "collettivi". La situazione è più grave ancora?

R. - Certo, è più grave ancora perché questi gruppi - che sono tanti, collettivi, paramilitari … - sono armati e cercano solo la morte dei cittadini. Loro intervengono naturalmente in ogni manifestazione e perciò i nostri giovani devono o ritirarsi o affrontare la morte perché è una situazione di vera guerra militare: giovani disarmati, popolo disarmato, di fronte a gruppi che hanno armi.








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