2017-05-22 12:54:00

I vescovi del Guatemala dal Papa: potenti lobby contro la Chiesa


Papa Francesco ha ricevuto questa mattina i vescovi del Guatemala in visita "ad Limina”. Al centro del colloquio le sfide della Chiesa guatemalteca nella società attuale.  Ascoltiamo in proposito il presidente di questa Conferenza episcopale, mons. Gonzalo De Villa y Vásquez, vescovo di Sololá-Chimaltenango. L’intervista è di Alina Tufani:

R. – Siamo una Chiesa che ha un passato recente di martiri. Trenta-trentacinque anni fa c’è stata una grande persecuzione avvenuta nel contesto di un conflitto armato interno e il 23 settembre di quest’anno sarà beatificato il primo martire del Guatemala di quell’epoca. Prima avevamo vissuto le persecuzioni dei regimi liberali che, all’inizio del XX secolo, avevano cacciato il clero e i religiosi. In questo periodo la religiosità popolare era stata mantenuta viva dai laici e dalle comunità indigene. A metà  del XX secolo, la Chiesa guatemalteca ha iniziato a ricevere missionari che nell’arco di poco più di una generazione hanno dato molto: grazie a loro è aumentata la presenza del clero, in particolare in quelle regioni del Paese dove i sacerdoti erano assenti in pianta stabile da oltre 50 anni. Verso la fine degli anni 70 è iniziato questo nuovo periodo di persecuzione con tanti martiri. Negli ultimi anni la Chiesa in Guatemala ha invece avuto diverse benedizioni: è cresciuto il numero delle vocazioni, abbiamo più seminaristi e ordinazioni sacerdotali di quanti ne abbiamo mai avuti nella nostra storia.  Per altro verso, è anche vero che abbiamo visto molti fratelli allontanarsi dalla Chiesa cattolica soprattutto per entrare in gruppi pentecostali e questo è uno dei problemi della Chiesa guatemalteca oggi.

D. - La Chiesa guatemalteca è sempre stata molto impegnata nella difesa dei diritti umani nel Paese, le cui violazioni durante il conflitto sono spesso rimaste impunite …

R. - Il tema dei diritti umani è stato importante per la Chiesa in anni in cui parlare di diritti umani era molto complicato nel Paese e in questo senso la sua voce è stata quella che si è sentita di più. Ovviamente parliamo dei diritti umani fondamentali, a cominciare da quello alla vita, ma anche della libertà di espressione, del diritto di non essere perseguitati per le proprie opinioni politiche, e dei diritti sociali, come quelli all’educazione e alla salute. La risposta dello Stato ai bisogni della popolazione nel campo della salute, dell’educazione e del lavoro continua però ad essere debole e insufficiente e questo genera tanti problemi. È anche vero che negli ultimi anni la Chiesa si sta confrontando con i fautori di diritti apertamente in contrasto con la dottrina cattolica. Mi riferisco all’ideologia di genere, all’aborto, al matrimoni omosessuali. Non sono stati legalizzati in Guatemala, ma la pressione in questo senso è alta. La lotta della Chiesa per i diritti umani, evidentemente, si svolge su un piano diverso da quello di queste organizzazioni.

D. - Qual è l’azione pastorale della Chiesa guatemalteca per contrastare queste lobby?

R. - La verità è che facciamo quello che possiamo, ma siamo come Davide contro Golia. Queste organizzazioni hanno un grande potere economico, una grande capacità di penetrazione nei media e godono dell’appoggio delle agenzie delle Nazioni Unite per un imporre a un Paese piccolo con un governo debole un’agenda politica orientata all’approvazione di tali leggi. Tutto questo impone un enorme sforzo alla Chiesa, ma continuiamo a lottare per la vita. È  chiaro che quando parliamo della difesa della vita, non ci riferiamo solo all’aborto - come pensano molti cattolici - ma anche alla dignità della vita delle persone che quando nascono hanno diritto di non soffrire di denutrizione infantile e di vivere in modo decente.

D. - Uno dei fronti sui quali è impegnata la Chiesa è anche la difesa dei popoli indigeni - che sono la grande maggioranza della popolazione guatemalteca - la difesa dei loro territori e della loro cultura dalle multinazionali straniere.  Com’è la situazione oggi?

R. – Di fatto il Guatemala è un Paese prevalentemente indigeno. Io sono vescovo di una diocesi in cui il 93% della popolazione è indigeno e la stragrande maggioranza del clero e dei seminaristi è indigena, quindi vivo questa situazione quotidianamente. In effetti, la questione delle industrie estrattive ha generato polarizzazioni, resistenze e conflittualità e la Chiesa è intervenuta su questo tema. Ma bisogna guardare anche all’altra faccia della medaglia: negli ambienti popolari si è diffusa una sorta di avversione contro qualsiasi investimento straniero e neanche questo aiuta. Ad esempio, sul tema delle centrali idroelettriche la Chiesa non è contraria. Noi vescovi abbiamo detto che è energia pulita, più economica, anche se è vero che occorre considerare e rispettare i diritti delle popolazioni locali. Non possiamo però neanche opporci a tutto quello che porta sviluppo, come nel caso dell’energia idroelettrica. Eppure ci sono voci contrarie e spesso dietro a chi invoca i legittimi diritti delle popolazioni locali, ci sono altri gruppi di pressione con interessi più loschi, come ad esempio i narcotrafficanti. La questione è complessa. Non è solo una questione di diritti degli indigeni, perché credo che la cosa più importante sia difendere i diritti di tutta la popolazione di svilupparsi, educare i figli e migliorare il loro tenore di vita.

D. - C’è poi la questione dell’emigrazione…

R. - Sì, l’emigrazione è una realtà importante: ci sono oltre 3 milioni di guatemaltechi negli USA, di cui, mi sembra, il 75% sono senza documenti. Ma grazie alle rimesse degli emigrati, nel nostro Paese entrano milioni di dollari: solo l’anno scorso sono entrati 7mila milioni, pari a più di sette volte i proventi delle esportazioni di caffè. Si tratta di denaro che va a tutto il Paese e non si concentra come per le esportazioni. Quindi “esportiamo” persone e questo ha anche conseguenze drammatiche sulle famiglie, perché se è vero che avere un familiare negli Stati Uniti migliora il tenore di vita, capita che uomini sposati emigrino e mettano su un’altra famiglia. Alcuni magari continuano ad inviare soldi alla famiglia di origine in Guatemala, altri nulla. A questo punto la famiglia è distrutta. Abbiamo bambini e adolescenti che crescono senza la presenza del padre, che soffrono ed è più facile che prendano una cattiva strada. Il tema dell’emigrazione ci preoccupa molto e  non dobbiamo trascurarlo: in questo devo riconoscere il grande ruolo svolto da mons. Ramazzini, che conosce molto bene il tema della mobilità umana. Ma sì, è un dramma. 

D. - Molte persone pensano che un possibile ritorno massiccio di centroamericani nei propri Paesi di origine potrebbe causare un’emergenza umanitaria. È d’accordo?

R. - Sì, ma anche se è cresciuto il numero dei deportati dagli Stati Uniti per adesso non ho l’impressione che ci sia stata una crescita significativa in questi 3-4 mesi di presidenza Trump, anche se è vero che è diminuito il numero di ingressi  in quel Paese. Certo, se arrivassero un milione di deportati in un solo colpo la crisi umanitaria sarebbe assoluta.








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