2017-05-27 15:03:00

G7: nessun accordo sul clima. Usa fuori dalla dichiarazione finale


Il vertice G7 di Taormina ha visto i grandi del mondo confrontarsi sulle emergenze globali del momento, come il terrorismo, l’immigrazione, il protezionismo economico. Porte chiuse al dialogo invece sulla salvaguardia del clima, sulla base degli impegni presi due anni fa a Parigi. In una dichiarazione congiunta si è preso atto della difficoltà di giungere ad una posizione comune, in seguito a quella assunta dall’amministrazione statunitense di Trump, che rischia di bloccare un accordo faticosamente raggiunto dalla comunità internazionale. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Antonio Ballarin Denti, docente di Fisica dell’ambiente all’Università Cattolica:

R. – Questo rappresenta indubbiamente un ostacolo e un rischio ad una realizzazione piena dell’accordo, perché gli Stati Uniti hanno notevole peso dal punto di vista del contributo che potrebbero dare alla riduzione delle emissioni di gas serra: contribuiscono a circa un quarto delle emissioni di tutto il pianeta. Ed inoltre ovviamente questo rappresenterebbe un disincentivo forte anche di altri Stati che avevano sottoscritto l’accordo un po’ sull’onda dell’entusiasmo generale, in qualche modo obbligati a non restare isolati nella comunità internazionale. Ciò sarebbe un fatto estremamente dannoso, perché la rincorsa che il mondo sta facendo per fermarsi ad una deriva del clima non superiore a due gradi rispetto alle epoche preindustriali rischia di essere effettivamente compromessa anche se solo un partner del peso degli Usa dovesse ritirarsi dall’accordo.

D. – Lei ritiene che la tutela del clima vada fatta capillarmente, con l’impegno dell’intera comunità internazionale, o è più importante che le grandi potenze industriali operino in tal senso?

R. – Io credo che occorra, perché la deriva climatica possa essere fermata prima di un punto di non ritorno, da un lato un accordo politico forte a livello Onu per i prossimi decenni; dall’altro lato, occorre un impegno di tutte le comunità locali e di tutti gli attori economici presenti nel mondo: quindi le imprese, i grandi consumatori di energia e gli enti locali come Regioni, Comuni. E infine occorre che si muovano anche le comunità di base della nostra società: oserei dire gli individui, le famiglie, le comunità sociali di base tra cui le associazioni e tutti quelli che possono dare un contributo individuale entro un quadro di riferimento che significativamente è stato definito dagli impegni di Parigi.

D. – Si ha la sensazione che si stia perdendo di vista il fatto che tutte le problematiche globali sono legate le une alle altre: per esempio non tutelare il clima vuol dire anche favorire migrazioni…

R. – Certamente. Direi che è difficile trovare una sintesi più chiara di ciò che lega oggi l’ambiente, il clima, i poteri sociali e economici del pianeta, inclusi i fenomeni migratori, quanto l’Enciclica “Laudato Si’”. Nel primo capitolo, che è il capitolo descrittivo dello stato ambientale e sociale del pianeta, si evince che il clima condiziona tutta una serie di altri problemi ambientali. E d’altro canto i problemi di carattere ambientale sono strettamente connessi alla situazione sociale del pianeta. Perché se non si raggiunge un equilibrio sostenibile tra economia, strutture portanti della società basate sulla inclusione e la coesione e rispetto e protezione della natura, il sistema non sta in piedi. Quindi il fenomeno migratorio si inserisce in questa logica. E il clima sta peggiorando una situazione di criticità agricola, agroalimentare, sociale, in alcune regioni del mondo quali il centro dell’Africa e le regioni subsahariane. E di conseguenza, sommando questo elemento di pressione a quelli della guerra, della fame e delle carestie endemiche, spinge decine di milioni di persone verso i flussi migratori.








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