2017-05-27 12:57:00

Il Papa alla Chiesa ligure: siate “uomini di incontro” con Dio e la gente


“Senza rapporti con Dio e con il prossimo niente ha senso nella vita di un prete”. E’ il richiamo che Papa Francesco ha rivolto nel suo lungo dialogo con i vescovi e i membri del clero della Liguria, avvenuto nella Cattedrale di San Lorenzo. Il Pontefice ha messo l’accento sulla centralità della testimonianza nella vita dei consacrati, rifuggendo mondanità, carrierismo e mormorazioni. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Un lungo appassionato dialogo con il clero ligure. Papa Francesco si è confrontato a tutto campo con sacerdoti e religiose della Liguria, rispondendo diffusamente alle quattro domande che gli sono state rivolte nella cattedrale di San Lorenzo gremita di consacrati. Il Papa ha innanzitutto messo l’accento sullo stile di Gesù per vivere un’intensa vita spirituale. Gesù, ha osservato il Papa, era sempre con la gente di giorno, mentre la sera era sempre in preghiera, “per essere con il Padre”. Di qui, Francesco ha messo in guardia dal diventare “un prete statico” impegnato solo perché tutto sia risolto, “tutto in ordine”, con gli orari a posto. “Una vita così strutturata – ha avvertito – non è una vita cristiana”.

Sacerdoti siano uomini di incontro con Dio e con il prossimo
Il parroco, ha soggiunto, non può avere “uno stile di imprenditore”. Stare con la gente, stare con il Padre. Questo, ha ribadito, è quello che ci insegna Gesù: “tutto si deve vivere in questa chiave dell’incontro":

“Dovete, voi sacerdoti, esaminarvi su questo: sono un uomo di incontro? Sono uomo di tabernacolo? Sono uomo di strada? Sono uomo di orecchio, che sa ascoltare? O quando incominciano a dirmi le cose, io: ‘Sì, sì questo è così, così e così…’. Mi lascio stancare dalla gente? Questo era Gesù. Non ci sono formule; non ci sono formule di quelle, altre formule. Gesù aveva una chiara coscienza che la sua vita era per gli altri: per il Padre e per la gente, non per sé stesso. Si dava, si dava: si dava alla gente, si dava al Padre nella preghiera. E la sua vita anche l’ha vissuta in chiave di missione: io sono inviato dal Padre per dire queste cose”.

Ecco perché, ha detto ancora, bisogna lasciarsi “guardare dal Signore” quando siamo davanti al Tabernacolo, senza pregare “come un pappagallo” perché così si perde solo tempo. “Senza rapporti con Dio e con il prossimo – ha sottolineato – niente ha senso nella vita di un prete”. Forse, ha constatato amaramente il Papa, si farà “carriera”, ma il cuore rimarrà “vuoto”.

Attenti alle mormorazioni: distruggono la fratellanza sacerdotale
Rispondendo alla seconda domanda, Francesco ha così rivolto il pensiero al tema della “fraternità”, una parola – ha osservato con una battuta – che “non si quota nella borsa dei valori”. Il Papa ha messo l’accento sul rischio dell’ “autosufficienza”, di essere “un prete google o wikipedia” che pretende cioè di sapere tutti. Ha così evidenziato che le mormorazioni e le chiacchiere, che “spellano” il fratello, sono le peggiori minacce alla fraternità in un presbiterio e a volte arrivano fino a infangare candidati all’episcopato:

Il nemico grande e contro la fratellanza sacerdotale è questo: la mormorazione per invidia, per gelosie o perché non mi cade bene o così … O perché la pensa in un’altra maniera, e dunque è più importante l’ideologia che la fratellanza; anche più importante l’ideologia che la dottrina: ma dove siamo arrivati? Pensate. E’ vero che la mormorazione o il giudicare male i fratelli è un ‘male di clausura’, come si chiama: quanto più siamo chiusi nei nostri interessi, tanto più critichiamo gli altri. E mai avere la voglia di avere l’ultima parola: l’ultima parola sarà quella che viene fuori da sola o la dirà il vescovo, ma io dico la mia e ascolto quella degli altri”.

Il Papa non ha quindi mancato di consigliare i formatori dei seminaristi di allontanare quanti chiacchierano, perché se non si correggono rappresentano “un’ipoteca sulla fratellanza presbiteriale”.

Consacrati siano disponibili ad andare dove c’è più bisogno
Papa Francesco si è quindi soffermato sul binomio diocesanità-disponibilità. Tutti, ha detto, siamo “inseriti nella diocesi” e questo “ci salva dall’astrazione, dal nominalismo, da una fede” che “vola nell’aria”. Di qui, ha rivolto l’attenzione al carisma delle Congregazioni che, ha detto, “sono un regalo per la Chiesa”. Al tempo stesso, ha però commentato, bisogna vedere sempre il carisma “incarnato in posti concreti”, per “amare la gente concreta”. Una concretezza che chiede anche “disponibilità”:

“Una disponibilità ad andare dove c’è più rischio, dove c’è più bisogno, dove c’è più necessità. Non per curare se stessi: per andare a donare il carisma e inserirsi dove c’è più necessità. La parola che uso spesso è periferie, ma io dico tutte le periferie, non solo quelle della povertà: tutte. Anche quelle del pensiero: tutte. Inserirsi in quello. E queste periferie sono il riflesso dei posti dove è nato il carisma primordiale. E quando dico disponibilità, anche dico revisione delle opere”.

Di qui l’incoraggiamento del Papa ad essere disponibili “ad andare oltre” a domandarsi se il proprio carisma sia necessario in una diocesi o bisogna lasciarla per andare in un’altra con disponibilità e “senza avere paura dei rischi”.

Infine, Francesco ha affrontato il tema delle crisi vocazionali. Innanzitutto, ha detto, c’è una crisi che tocca tutta la Chiesa, “tutte le vocazioni”, anche il matrimonio. Tuttavia, ha aggiunto, bisogna domandare al Signore cosa fare, cosa cambiare: “Imparare dai problemi” e “cercare una risposta”. Né ha mancato dal mettere in guardia da fenomeni gravi come “la tratta delle novizie”, “uno scandalo”.

E’ la testimonianza che attira le vocazioni, serve conversione missionaria
Per far crescere le vocazioni, ha quindi osservato, bisogna soprattutto puntare sulla “testimonianza”, “testimonianza di gioia, anche nel modo di vivere”. Testimoniare per la scelta che Gesù ha fatto. D’altro canto, ha avvertito, la mondanità, la contro-testimonianza provocano “certe crisi vocazionali”:

Ci vuole una conversione pastorale, una conversione missionaria. Vi invito a voi, a prendere quei passi dell’Evangelii gaudium che parlano di questo, sulla necessaria conversione missionaria, e questa è una testimonianza che attira vocazioni. Poi, le vocazioni ci sono, Dio le dà. Ma se tu – prete o consacrato o suora – sei sempre occupato, non hai tempo di ascoltare i giovani che vengono, che non vengono … ‘Sì, si: domani …’. Perché? I giovani sono noiosi, eh? E sempre vengono con lo stesso … Se tu non hai tempo, vai a cercare un altro che lo ascolti. Ascoltarli. E poi, i giovani sempre in movimento: metterli in una strada missionaria”.

“La testimonianza – ha detto – questa è la chiave” per vincere le crisi vocazionali. Una testimonianza che non ha bisogno di parole, ma che attraverso l’amore sappia attrarre la gente.








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