2017-05-29 11:24:00

Dopo G7, Usa ed Europa divise. Fabbri: fase di transizione cruciale


I tempi in cui si poteva fare “pieno affidamento” sugli altri sono passati, “noi europei dobbiamo prendere il nostro destino nelle nostre mani”. Questa, senza giri di parole, la riflessione della cancelliera tedesca Angela Merkel, dopo il vertice Nato di Bruxelles e il G7 di Taormina, che hanno segnato l'esordio sul palcoscenico internazionale del presidente statunitense Donald Trump e che hanno mostrato le profonde differenze fra Stati Uniti ed Europa. Nette le divisioni sul clima, con il capo della Casa Bianca che non ha ceduto alle pressioni per restare nell'accordo di Parigi, riservandosi una decisione nei prossimi giorni. La stampa internazionale parla di un “Occidente diviso”, come conferma Dario Fabbri, coordinatore per l’America della testata di geopolitica Limes, intervistato da Giada Aquilino:

R. – Siamo di fronte ad uno scontro tra Stati Uniti e Germania: uno scontro che di fatto vede da un lato gli Stati Uniti non accettare il nuovo ruolo che la Germania sta cercando di ricavare, ossia quello di Nazione indipendente dal comando americano, alla guida di uno spazio strutturato nel cuore del Continente europeo. E dall’altro lato c’è Berlino che coglie questo momento per decidere cosa fare “da grande”.

D. – Se la Merkel in settembre venisse riconfermata cancelliera, si potrebbe puntare su un rafforzamento delle istituzioni europee in concorrenza con gli Stati Uniti oppure la Brexit ha di fatto minato il Vecchio Continente?

R. – L’idea tedesca in questa fase è quella di crearsi uno spazio all’interno del Continente di reale integrazione anche politica – la cosiddetta “Europa a doppia velocità” – che dovrebbe incentrarsi sulla ‘Mitteleuropa’, cioè sulla classica sfera di influenza culturale germanica allargata anche ai centri che fanno parte della catena industriale tedesca, più la Danimarca, la Finlandia e probabilmente comprendente soltanto l’Italia del Nord. Questa è l’idea tedesca di uno spazio, per la prima volta nella storia europea, non più ancillare agli Stati Uniti: da questo nasce l’opposizione americana.

D. – Capitolo Nato: anche su quel piano gli alleati non sono più tali?

R. – Sulla Nato si scindono i propositi. Da un lato c’è Trump che comprende poco l’utilità della Nato, mentre gli apparati americani - e su tutti il Pentagono - la considerano ancora fondamentale per gestire i clientes degli Stati Uniti. Per la Germania il dibattito è un altro, relativamente alla Nato. Nel momento in cui gli Stati Uniti chiedono al governo tedesco di aumentare la propria spesa militare, la Germania non è convinta di volerlo fare per lasciare le proprie forze armate ancora sotto il dominio americano.

D. – In questo quadro, si sta ridisegnando la geopolitica riguardo a un futuro ruolo dell’Unione Europea, anche pensando a quello di Russia e Cina?

R. – Si potrebbe configurare all’orizzonte un’Europa "tedesca". Dall’altro lato però dobbiamo considerare che la Germania è un Paese molto fragile, così come lo è anche economicamente. Quindi nei prossimi decenni questo progetto, anche per la forte opposizione americana, potrebbe non vedere mai la luce. Ciò che è certo è che siamo in un momento di transizione cruciale.

D. – E Russia e Cina come si pongono in questo scenario?

R. – La Russia è certamente favorevole in principio ad una Europa ristretta e tedesca, perché ha come vecchio obiettivo quello di dividere il Continente e di utilizzare anche la leva tedesca in funzione americana. Per la Cina il discorso è un po’ diverso: la Cina guarda al Continente europeo soltanto con occhi commerciali e da sempre considera la Germania il suo interlocutore pressoché unico in Europa, sebbene non sia particolarmente favorevole ad una Europa strutturata solo intorno a Berlino. Dobbiamo aggiungere che la Cina ha moltissimi problemi interni in questa fase ed è soprattutto concentrata su quelli.

D. – E riguardo al rebus del Trattato di Parigi sul clima, cosa c’è da attendersi da Trump? Davvero un abbandono, come dicono indiscrezioni di stampa, o una posizione rivista ma non drastica?

R. – Se Trump abbandonasse, com’è probabile, l’accordo sul clima sarebbe soprattutto per una ragione di forma. L’accordo di Parigi serve soprattutto a livello dialettico, non prevede penalità per chi non rispetta l’accordo in sé. Allo stesso tempo, le decisioni di Trump in tema ambientale vanno già tutte nell’altra direzione, indipendentemente se confermi o non l’accordo di Parigi. È già stato smantellato di fatto il piano ecologico voluto da Obama. Dunque, nel caso in cui Trump decidesse anche formalmente di non rispettarlo, lo farebbe soprattutto per il suo elettorato. 








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