2017-06-01 14:07:00

Iraq: da Acs, un libro dedicato a p. Ragheed Ganni, ucciso 10 anni fa


“Un sacerdote cattolico nello Stato Islamico. La storia di padre Ragheed Ganni”: è il titolo del libro di padre Rebwar Audish Basa, dedicato al sacerdote iracheno ucciso dieci anni fa a Mosul. La presentazione oggi a Roma, nella sede di Aiuto alla Chiesa che Soffre. C’era per noi, Giada Aquilino:

Era “un sacerdote cattolico nello Stato islamico” padre Ragheed Ganni, iracheno, ucciso da uomini armati il 3 giugno 2007 a Mosul. Sono passati 10 anni, l’Iraq ancora vive la violenza jihadista ma non dimentica. Così un altro sacerdote iracheno, padre Rebwar Audish Basa, allievo a Baghdad di padre Ganni e suo amico, decide di scrivere un libro, per ricordare con Aiuto alla Chiesa che Soffre la figura di quello che fu il segretario del vescovo di Mosul, mons. Faraj Rahho, anch’egli ucciso in Iraq, e il parroco della chiesa dello Spirito Santo. Fu proprio la Fondazione pontificia, con i suoi benefattori, ad offrire al giovane Ragheed una borsa di studio per completare la propria educazione a Roma: dopo, nonostante fosse già scoppiata la guerra, padre Ganni decise di tornare in patria, per svolgere la propria missione in una terra di persecuzione, misurandosi più volte con la crudeltà e le minacce degli islamisti nei confronti delle comunità cristiane locali, fino alla morte. Ce ne parla l’autore del volume, padre Rebwar Audish Basa:

R. - Era un giovane sacerdote iracheno e, prima di essere ucciso, i suoi assassini gli chiesero: “Ti abbiamo detto di chiudere la chiesa. Perché non l’hai chiusa?”; lui rispose: “Non possiamo chiudere la casa di Dio”. È stato ucciso perché la sua colpa era quella di appartenere ad una minoranza cristiana in Iraq, cioè era un cristiano iracheno. Quando gli hanno sparato, i proiettili hanno colpito, trapassandolo, anche il documento che aveva con sé: sono entrati dal lato in cui c’era scritto “Repubblica dell’Iraq” e sono usciti dall’altro lato, dove c’era scritto “cristiano”. Hanno, dunque, intaccato anche questa identità cristiana.

D. - Cosa significa servire Dio in un Paese in cui - come scriveva padre Ganni - la violenza continua a uccidere ogni giorno?

R. - Vuol dire vivere il Vangelo. Questa è la nostra missione, che non è essere al sicuro ma rischiare la nostra vita per predicare il Vangelo. Ho voluto che anche il titolo fosse “Un sacerdote cattolico nello Stato islamico”: ci minacciano, fanno attentati, ma don Ragheed era una minaccia per loro, contro i loro progetti di odio. Don Ragheed ha testimoniato fino alla fine come si può essere uno strumento di pace, di riconciliazione, di speranza per un Paese distrutto da tante guerre. Il sacerdozio di Cristo che lui portava, non voleva fosse umiliato: e questo lui lo disse in una sua preghiera, scrivendo “affinché io sia capace di non permettere a nessuno di umiliare il Tuo sacerdozio che io testimonio”. E questa preghiera la scrisse dopo il funerale di un altro sacerdote ucciso nel 2006 in Iraq.

D. - Cosa vuol dire essere cristiani oggi in Iraq? Qual è la situazione a Mosul?

R. - Ci fa ricordare le nostre radici. La Piane di Ninive è stata liberata già da qualche mese, però la città di Mosul ancora non lo è del tutto, diciamo al 90 per cento. Il centro storico è controllato dall’Is e l’esercito iracheno sta avanzando. Però ci sono tanti cittadini intrappolati in tutto questo conflitto, perché i jihadisti del’Is si proteggono usando i civili, i bambini, la gente. Quindi si combatte ancora. Penso che tutto questo finirà, però l’ideologia resta. Dunque dobbiamo fare il contrario di quello che fa l’Is: se loro distruggono, noi dobbiamo ricostruire; se loro dividono, noi dobbiamo unire; se loro invitano all’odio, noi dobbiamo vivere l’amore, il perdono e la riconciliazione.

D. - Il Papa parla dei martiri cristiani di oggi, che sono più di quelli di ieri, evocando "l’ecumenismo del sangue". Come li rappresenta padre Ganni?

R. - Papa Francesco, in una preghiera dedicata ai nuovi martiri a San Bartolomeo all’Isola, ha indossato la stola che don Ragheed indossava mentre serviva a Mosul. È una stola rossa, che ci riferisce anche del suo martirio. Il Papa ha onorato don Ragheed, la Chiesa in Iraq e tutti i nuovi martiri che hanno versato il loro sangue per la fede.

Con la prefazione del cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che incontrò il sacerdote quando era nunzio apostolico in Iraq, il libro è anche il frutto del continuo impegno nel Paese del Golfo di Aiuto alla Chiesa che Soffre. Una delegazione di Acs nel marzo scorso era in visita nel villaggio natale di padre Ganni, Karemles. E ha ritrovato la pietra tombale del sacerdote. Ce ne parla Alessandro Monteduro, direttore di Acs-Italia:

R. - Il 4 marzo 2017 ero in quella delegazione ed entrando nella chiesa di Karemles non sapevo che lì vi fosse la tomba di padre Ragheed Ganni. Il sacerdote iracheno caldeo che ci accompagnava mi fece presente: “Questa è la tomba di un sacerdote, un giovane sacerdote, morto nel 2007 a 35 anni”. Non mi fece il suo nome e non era possibile scorgerlo perché la lapide era stata letteralmente devastata: non c’era neppure la foto, che era caduta a terra. Ma capii che si trattava di padre Ragheed. Ecco, in quel momento, nella distruzione di quella lapide - nella quale erano riassunti, per volontà dell’arcidiocesi di Mosul, la vita e il martirio di padre Ragheed Ganni - colsi l’essenza dell’azione dell’estremismo e del fondamentalismo islamico: cioè, la cancellazione della memoria. E oggi noi abbiamo voluto, con padre Rebwar, riabilitare quella memoria; lo abbiamo fatto non solo per padre Ragheed ma anche per noi.

D. - In questo momento, in che condizioni è la tomba del sacerdote ucciso?

R. - La tomba di padre Ragheed, a differenza della gran parte delle tombe nel Nord dell’Iraq, nella Piana di Ninive, non è stata in senso stretto profanata: è una delle poche che non è stata aperta. La lapide è stata distrutta e ancora non è stata ripristinata. So però che già nelle prossime settimane, tra le prime cose che si intende fare nel ristrutturare la chiesa a Karemles, c’è anche e soprattutto questo gesto.

D. - Qual è allora la missione di Acs in Iraq, oggi?

R. - La missione di Acs in Iraq, oggi, è dare un senso al martirio di padre Ragheed Ganni. In questo momento siamo impegnati in Iraq per consentire a 120 mila cristiani, costretti alla fuga dall’estremismo islamico nel 2014, di tornare a vivere nelle loro case. Ricostruiamo le case, ricostruiamo le scuole, ricostruiamo gli ospedali, ricostruiamo i luoghi di preghiera, ricostruiamo tutto il sistema infrastrutturale.








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