2017-06-01 11:59:00

L'accordo sul clima di Parigi a rischio senza gli Usa


A rischio gli accordi sul clima di Parigi del 2015. Per questa sera è attesa la decisione del presidente, Donald Trump, sul futuro ruolo degli Stati Uniti nell’intesa. Indiscrezioni di stampa danno per certa l’uscita di Washington, ma l’amministrazione americana resta divisa sul tema e non si escludono alternative. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Matteo Màscia, esperto di ambiente e inquinamento della Fondazione Lanza di Padova:

R. – La preoccupazione ha due dimensioni. Una ovviamente riguarda la politica multilaterale di interazione; è uno schiaffo alla politica multilaterale internazionale che a Parigi aveva dato un segno importante di rafforzamento e di ripresa. Non dimentichiamoci che erano 20 anni che si cercava un accordo così importante. Quindi questo ovviamente è un indebolimento. L’altra dimensione riguarda l’indebolimento sul fronte della lotta al cambiamento climatico. È chiaro che se gli Stati uniti non confermano il proprio impegno, che con Obama era quello di ridurre del 26-28 percento le emissioni di gas serra entro il 2025 – gli Stati Uniti sono il quinto Paese al mondo per emissioni globali –, è chiaro che il loro contributo è significativo.

D. - Forse non c’è la percezione esatta del rischio che l’ambiente il clima terrestre stanno correndo. I tempi di aggravamento sono sempre più veloci …

R. - Sì, questo è quello che la scienza sostanzialmente ci dice. Dietro la scelta del presidente americano di negare il fatto che cambiamento climatico sia dovuto alle attività umane, c’è un fronte ideologico probabilmente; dall’altro c’è un problema invece di comprensione, di percezione degli effetti del cambiamento climatico che per esempio nei nostri Paesi si svolgono in modo ancora limitato, contenuto rispetto ad altre realtà. Da noi ancora non c’è un collegamento diretto tra peggioramento della qualità della vita, qualità dell’aria, rischi, cambiamento climatico ed emissioni di CO2.

D. - I problemi climatici poi influiscono pesantemente su tante altre emergenze globali …

R. - Assolutamente. Ormai siamo sempre più consapevoli che il cambiamento climatico è un amplificatore di minacce e di effetti negativi come per esempio la siccità, effetti sulla produzione agricola, quindi un problema di inquinamento e di impatto sulla salute. Certo, dipenderà anche da cosa faranno gli altri grandi Paesi; cosa farà la Cina, cosa farà l’India che sono gli altri grandi Paesi  investitori. Bisognerà vedere se il movimento politico ma anche l’economia che si è ormai attivata sul fronte della produzione delle energie rinnovabili, sarà capace di dare una risposta positiva nella direzione di ridurre concretamente le emissioni.

D. - Ci sono iniziative di sensibilizzazione su questi temi?

R. - Assolutamente. Per esempio la prossima settimana a Bologna in occasione del “G7 ambiente” la Focsiv organizza un importante giornata di studio e di approfondimento sul disinvestimento delle fonti fossili e coinvolge un numero significativo di realtà ecclesiali italiane che intendono impegnarsi per spostare i propri investimenti dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. E lo fa insieme al Forum della finanza sostenibile, e quindi con una serie di operatori di finanza che sono attenti proprio ad indirizzare scelte ed investimenti in relazione verso la riduzione dell’impatto ambientale, nello specifico nella riduzione delle emissioni di CO2. Questo per esempio è un appuntamento molto importante in cui la  Chiesa italiana porta il proprio contributo non solo sul fronte della sensibilizzazione ma anche dell’azione concreta.








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