2017-06-09 14:58:00

Gran Bretagna: imminente la formazione del nuovo governo


Dopo il voto anticipato in Gran Bretagna, che ha visto la fragile vittoria dei conservatori di Theresa May, la premier subito al lavoro per la formazione del nuovo governo. L’esecutivo ha come obiettivi il negoziato sull’uscita di Londra dall’Unione Europea e, dopo i recenti attentati, la sicurezza. Il servizio di Giancarlo La Vella: 

La maggioranza relativa non impedisce alla premier May di guardare al futuro. Il nuovo governo sta per essere varato con alcuni punti fermi, come ha detto la stessa May. Resteranno al loro posto i ministri più importanti: agli Esteri, Boris Johnson, alla Difesa, Michael Fallon, alle Finanze, Philip Hammond, alla Brexit, David Davis e all'Interno, Amber Rudd. Ma da soli i conservatori non possono reggere e Downing Street cerca l’appoggio dei nord irlandesi del Democratic Unionist Party per formare una maggioranza più salda che sostenga l'esecutivo. La Brexit comunque si farà: è l’intenzione della May e anche del presidente della Commissione Europea Juncker, che auspica non vi siano ritardi. L’esecutivo dovrà mettere mano al discorso sicurezza, prioritario per i britannici dopo gli attacchi terroristici di Londra e Manchester. Dopo il voto la May incassa comuqnue il sostegno del presidente americano Trump, che telefonicamente le ha ribadito il suo impegno a stringere relazioni sempre più salde tra Stati Uniti e Gran Bretagna.

 Per un’analisi del voto sentiamo Matteo Villa, ricercatore dell’Istituto di Politica Internazionale, intervistato da Marco Guerra

R. - È chiaramente un voto di protesta direi, nel senso che May sperava di uscire rafforzata dalle urne -  invece ne esce fortemente indebolita - mentre incredibilmente Corbyn e il Labour fanno passi molto in avanti. Ma una cosa interessante è proprio il flusso elettorale: si diceva che chi avesse votato Ukip, quindi il partito indipendentista cinque anni fa, quest’anno avrebbe votato i conservatori. Invece, incredibilmente, hanno votato i laburisti. Questo è stato il motivo per cui i conservatori non si sono rafforzati molto. Quindi il voto di protesta rientra all’interno del Labour Party. Questo cambia molto gli scenari e ci propone un partito conservatore massimalista, perché pro 'hard Brexit', e dall’altra parte un partito laburista altrettanto massimalista, quasi anni ’70 –’80, a favore delle nazionalizzazioni. Un Regno Unito molto, molto spaccato.

D. - Alcuni politici motivano questo risultato in chiave Brexit, mentre molti commentatori mettono l’accento sugli attacchi terroristici di queste settimane. Cosa ha condizionato il voto?

R. - A mio parere quasi nessuna delle due. Di Brexit se ne è parlato poco; il terrorismo ha fatto sì che ci si riunisse sotto la bandiera britannica, si reagisse, ma di fatto non pare aver spostato molto. Quello che forse ha inciso di più è stato il momento in cui Corbyn si è dimostrato, nonostante un programma massimalista, capace di attrarre gli elettori che volevano protestare rispetto ad un governo abbastanza statico e ad una premier che non è percepita come in grado di portare il Regno Unito ad uscire dall'Ue con certezza. Nel Paese la disuguaglianza è fortissima nonostante il Regno Unito continui a crescere e molto probabilmente chi qualche anno fa votava il partito indipendentista per protestare, adesso ha deciso di passare al Labour. Quindi è il programma interno ad aver motivato gli elettori piuttosto che la Brexit o il terrorismo.

D. - Quali scenari politici si aprono ora per la Gran Bretagna? Il governo di coalizione è un’ipotesi sul tavolo?

R. – Mi sembra molto difficile una coalizione tra conservatori e Labour, anche perché le posizioni sono veramente diverse, tranne sulla Brexit; entrambi sono d’accordo che ormai si deve accettare l’esito del voto. La cosa più probabile è che nel tentativo delle prossime settimane May provi con i conservatori a trovare una maggioranza anche solo di pochi punti con gli ukipisti irlandesi, che sarebbe sufficiente. Dall’altra parte a Corbyn, a mio parere, conviene stare all’opposizione perché è un partito ancora molto lontano da un possibile governo. Insomma, ai laburisti conviene molto una situazione di rafforzamento, ma all’opposizione.

D. - Cosa c'è da attendersi per la leadership di Theresa May? Il leader laburista Corbyn chiede le sue dimissioni…

R. - Corbyn fa bene a chiedere le sue dimissioni, a mio parere strumentali, perché è quasi chiaro che i laburisti non possono formare un governo al momento. La May ha detto che secondo lei dovrebbe rimanere per dare stabilità, ma di fatto il suo indebolimento fa sì che anche all’interno del suo partito si moltiplichino le voci che la vorrebbero fuori. Quindi vedremo nei prossimi giorni.

D. – L’Europa legge questo voto come un anelito anti Brexit. In realtà cosa cambia negli equilibri europei con questo risultato?

R. – Il capo della Commissione europea per il negoziato sulla Brexit ha detto che è un voto che mostra che la Gran Bretagna non è a favore della Brexit. Non è proprio vero, anzi, a mio parere, l’Europa doveva sperare in una vittoria del rafforzamento di May che a quel punto, in una posizione di forza, avrebbe potuto far digerire anche al suo partito delle trattative che non andassero troppo a favore del Regno Unito. Così invece è un partito conservatore molto più indebolito e rischia di dover negoziare al massimo per poter poi far passare una Brexit dal suo Parlamento interno. Quindi a mio parere non è qualcosa che salva l’Europa. Vedremo se l’Europa riuscirà a parlare con una voce unica quando si siederà al tavolo dei negoziati.

D. – Quali sono quindi le sfide che dovrà affrontare il nuovo esecutivo?

R. - La prima sfida è quella di rispondere davvero a questo voto di protesta perché le disuguaglianze nel Paese, come abbiamo detto, sono le più alte dagli anni ’70. Nonostante il Regno Unito sia uscito dalla crisi, di fatto il Pil pro-capite medio è più alto del 20 per cento rispetto alla crisi. Però ne hanno beneficiato soprattutto gli strati più ricchi, quello finanziario della città di Londra. Quindi è un Paese che si spacca sempre di più a livello regionale, a livello degli strati sociali. Questo va detto. C’è bisogno di riunire il Paese qualunque governo si ritrovi a farlo nelle prossime settimane.








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