2017-06-12 12:49:00

Giornata mondiale lavoro minorile: un bimbo su 4 viene sfruttato


“Nei conflitti e nei disastri naturali: proteggere i bambini dal lavoro minorile”. E’ il tema dell’odierna Giornata mondiale contro questa piaga che colpisce i Paesi poveri e soprattutto quelli in guerra. Impiegare un bimbo - affermano recenti studi -  significa metterne a rischio la salute mentale e fisica, condannando il minore ad una vita senza svago né istruzione. Benedetta Capelli ha parlato di questo fenomeno con Andrea Iacomini, portavoce Unicef:

R. – E’  un problema che è strettamente legato non soltanto a questioni climatiche o a carestie o a fame o a povertà ma anche alle condizioni in cui versano ancora molti Paesi. Ci sono conflitti che purtroppo costringono molti bambini a vivere in condizioni davvero difficili. Nel mondo ci sono 150 milioni di bambini tra i 5 e i 14 anni coinvolti in questo tipo di pratica, ci sono percentuali altissime in zone come l’Africa subsahariana, dove il 28% di questi hanno proprio tra i 5 e i 14 anni; in alcune zone dell’Africa  centrale e dell’ovest; nel Medio Oriente, in Nordafrica, per esempio, ci sono percentuali molto alte… Senza dimenticare che dietro queste cifre e questi numeri che diamo le bambine hanno molta più probabilità di essere coinvolte in lavori forzati e in lavori domestici rispetto ai bambini. E’ chiaro che è un fenomeno che noi, come Unicef, cerchiamo di sconfiggere con programmi di sensibilizzazione, attraverso attività di prevenzione, provando a reinserire questi bambini a scuola… Non dobbiamo dimenticare che gran parte di questi sono ex bambini soldato, perché fare il bambino soldato non vuol dire soltanto imbracciare un fucile ma anche essere impiegato come cuoco, come messaggero da un campo all’altro, spesso per portare armi molto pesanti. Oppure i bambini di strada: nelle zone di grandissima povertà, molti bambini ci raccontano che sono costretti a lavorare perché fin da piccoli vivono in condizioni molto difficili. Addirittura, nei campi profughi, per parlare invece delle zone di guerra, è molto diffuso lo sfruttamento del lavoro minorile sia dentro i campi perché molti bambini, che restano senza un padre e una madre con famiglie numerose - pensiamo al caso siriano, all’Iraq, a situazioni che ci sono nello Yemen - sono costretti a lavorare anche facendo lavori molto semplici per poter riuscire ad aiutare queste famiglie ormai devastate. Abbiamo visto in Giordania bambini che lavorano in campi di pomodori o in altre attività nelle valli adiacenti ai campi profughi: molti bambini vengono sfruttati per pochi dollari proprio in attività di questo tipo. Quindi è un fenomeno che naturalmente non si annida soltanto nei Paesi molto poveri ma che è anche legato a situazioni di catastrofe derivanti dalle guerre.

D. – Nel corso di questi anni ci sono stati dei Paesi che hanno lavorato in maniera efficace per far sì che questo tipo di fenomeno fosse arginato?

R. – Partendo dal presupposto che è un fenomeno difficile da censire, ci sono però Paesi dell’Africa dell’Est o anche dell’America Latina - pensiamo anche al caso della Bolivia dove è stata innalzata l’età media di accesso del lavoro minorile - dove sono stati fatti molti passi in avanti. C’è un fenomeno adesso in crescita che riguarda l’Italia, o anche tutti gli altri Paesi dove oggi insiste il fenomeno migratorio. Noi parliamo spesso di bambini sperduti e di bambini invisibili, lo scorso anno erano seimila: all’interno di questa cifra ce ne sono molti che sono occupati in attività proprio di sfruttamento del lavoro minorile, pensiamo al caporalato che è molto diffuso. Quindi gran parte di questi bambini lavora in questo tessuto di nero in cui finiscono, perché nelle prime 72 ore i nostri centri non ricevono le giuste informazioni oppure perché vogliono ricongiungersi a dei parenti oppure finiscono nelle mani dello sfruttamento, della droga, della prostituzione e appunto nel caporalato, come dicevo, in alcune zone del Sud specialmente, dove è molto diffuso. In Italia le cifre, anche qui, sono abbastanza vaghe, anche se si parla di 350 mila bambini, colpiti da questo fenomeno. Sono dati ancora abbastanza relativi, legati naturalmente a una dispersione scolastica che ancora rappresenta un fenomeno importante nel nostro Paese. Sembra un fatto a margine rispetto al dramma che loro vivono però è importante per evitare che proprio in quei contesti in cui non c’è più nulla i bambini finiscano invece nelle maglie di uno sfruttamento che spesso avviene per lavori molto pesanti.








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