2017-06-12 18:20:00

Sisma Marche, sfollati: "Siamo stanchi, troppe promesse"


Dopo quasi dieci mesi dalla prima scossa di terremoto che devastò il centro Italia, siamo andati nella provincia di Ascoli Piceno. I Vigili del Fuoco del posto, che ci hanno accompagnato nelle ‘zone rosse’ di Arquata e di Pescara del Tronto, hanno ripercorso le ore, i giorni, le settimane dei soccorsi. Da questa settimana il loro campo base qui sarà presidiato h24 per continuare a venire incontro ad ogni necessità della popolazione, in particolare di coloro che potranno entrare nelle 26 casette appena assegnate, per le quali si attendono ancora le ultime messe a punto.

Lentezze, sfiducia e rabbia

Luciano Perla è un allevatore di Castelluccio di Norcia che ora abita in affitto ad Ascoli. La sua azienda è andata completamente distrutta. Sessanta ettari di terra, trecento pecore. Un investimento di un milione di euro. “Il bestiame lo abbiamo portare altrove in capannoni liberi che ci ha trovato la Regione”, racconta. “Però ci ha aiutato molto più la gente che lo Stato in questa situazione. Noi speriamo di ripartire il prossimo anno con quel poco che ci rimane. Non chiediamo nulla di particolare se non le strade, a Castelluccio. Là si era venuta a creare una rete di una cinquantina di attività economiche che tiravano bene e in aumento. Se ci ridanno le vie di comunicazione ce la possiamo ancora fare”. Un volontario dell’Ordine di Malta è qui da due settimane e sta costruendo la nuova Caserma dei Carabinieri. Viene da Domodossola: “La vedo grigia la situazione. Si sentono abbandonati”. Ermanno Cellini è un insegnante alla primaria di Arquata, una scuola che non c’è più, la cui ricostruzione è stata presa in carico dal quotidiano La Stampa. “In cento giorni dovrebbe essere messa a punto”, ci dice, rammaricandosi anch’egli di “uno Stato che ha fatto troppe promesse. Al privato credo molto di più che allo Stato. Si sa che di tempo ce ne vorrà molto, quindi meglio promettere di meno e fare di più. Noi abbiamo già perso un 30% di popolazione scolastica, prima ci sbrighiamo e prima facciamo ripartire il paese”.

Sulle lungaggini che stanno mettendo a dura prova gli abitanti si esprime anche Don Elio Nevigari, che per la diocesi dirige l’Ufficio Ricostruzione ed è incaricato per i Beni Culturali. “Siamo appena agli inizi del recupero perché le diverse procedure si sono sbrogliate lentamente. Solo adesso stiamo entrando a regime. Sono state attuate alcune messe in sicurezza per la riapertura e restituzione al culto, seguiranno interventi di maggiore portata. Io posso dire che in occasione del terremoto Marche e Umbria ’97, a distanza di una decina di mesi dall’evento tellurico, eravamo molto più avanti rispetto a quanto lo siamo in questo caso. Perché le pratiche erano più snelle all’epoca e i mezzi erano più copiosi. Io interpreto queste lungaggini come un cercare di prendere tempo per mettere da parte gli stanziamenti necessari. Nel breve periodo è fondamentale far tornare le persone nel territorio interno. E’ una condizione indispensabile questa, e poi vengono tutte le altre questioni. Se non si riporta sul posto la gente è inutile pensare ad altri settori. Un Comune montano sta pensando di installare un piccolo centro commerciale. Mi chiedo: se non c’è gente che può andarci a fare la spesa, come si fa? E’ un paradosso”. Maurizio Piccioni, dell’Ufficio terremoto del Comune di Ascoli: “Abbiamo analizzato oltre 1800 aggregati strutturali, ne rimangono quasi 1300. Siamo circa a metà del lavoro da svolgere ma c’è ancora tanto da fare. Il problema è anche chi attinge al CAS (contributo di autonoma sistemazione) fa difficoltà a trovare appartamenti da prendere in affitto, i cui prezzi sono pure saliti alle stelle. Ci si chiede come mai dopo ogni terremoto ci si debba reinventare la macchina organizzativa. Sembra che il modello precedente non vada mai bene per il dopo, questo genera ulteriori ritardi”. Condivide una certa perplessità e aggiunge: “Ancora scontiamo i danni ulteriori della nevicata abbondantissima dell’inverno. La delocalizzazione delle aziende agricole sta procedendo purtroppo con lentezza”.

Tra gli sfollati negli alberghi sulla costa

Anita Gasparrini, dell’associazione di volontariato “Centro accoglienza vita” ci accompagna alla Domus Mater Gratiae, casa per ferie della diocesi, a Porto D’Ascoli, che sta ospitando 150 persone di Arquata, Pescara del Tronto, Acquasanta, Accumoli, Città Reale. Fin da quel 24 agosto dell’anno scorso porta avanti, in rete con altre aggregazioni laicali, una pastorale di amicizia e di accompagnamento, prima nella tendopoli di Arquata, ora con la neonata associazione “Laboratorio della Speranza”, voluta dal vescovo: “Ci stiamo concentrando nella vicinanza agli adolescenti, che hanno sofferto moltissimo dei traumi psicologici. Un ragazzo che è alloggiato al mare da ottobre scorso, nonostante qui non si avvertissero le scosse dello sciame sismico, ha dormito sempre nella hall dell’albergo. Solo da gennaio è riuscito a dormire in camera. Ciò che è sicuro è che noi non li lasceremo. Dobbiamo perseverare nell’ascolto e nella prossimità, altrimenti ce li perdiamo definitivamente”. Il direttore dell’albergo esalta i valori di cui la gente dell’interno è portatrice sana: “Ci stanno regalando la possibilità di tornare a riflettere sull’importanza dell’attaccamento alla terra, sulla genuinità, su uno stile semplice e non stressato che dobbiamo recuperare”. Tra gli assegnatari delle prime casette a Pescara del Tronto c’è Mario: “Sono qua da un mese. Ho perso tutto. Avevo trovato rifugio in un appartamento qui vicino ma poi con l’arrivo dei turisti me ne sono dovuto andare. Sono tornato qua in albergo in attesa che ci consegnino gli alloggi. Aspettiamo gli ultimi lavori e l’allaccio utenze. Sono rincuorato da una parte però c’è sempre il pensiero di aver dovuto abbandonare tutta la vita normale che facevo”. Un accenno alle polemiche che hanno animato nei giorni scorsi l’assegnazione: “Il problema è nato all’inizio”, spiega. “Secondo me bisognava progettare in base alle esigenze delle diverse famiglie. Da noi non sarebbe stato così difficile perché in fondo non siamo tantissimi. Hanno progettato dall’alto, senza rispondere in maniera adeguata ai nostri bisogni; se lo avessero fatto, in ascolto, sarebbe costato anche molto meno. Spero comunque di starci il meno possibile. Certo, quattro, cinque anni per forza”. Roberta è qui dai primi di novembre, con i suoi quattro figli piccoli. “Abitavo in una frazione di Arquata. Finché c’era la scuola, uscivo un po’ anche per distrarmi, cambiare un po’ aria. Adesso con le vacanze i bambini possono divertirsi, vanno al mare. A volte nascono delle discussioni fra noi perché non è facile mantenere la calma dopo tutto questo tempo in una situazione anomala”. La sua bambina racconta che continua ad aver paura quando ci sono le scosse. “Mi piacerebbe ritornare nei miei luoghi, fra le mie cose”. Valentina a Pretaria, un’altra piccola frazione, è tornata diverse volte là perché la madre ha un’azienda dove alleva venti bovini e quindici ovini: “Quando c’è stata la neve abbiamo impiegato cinque giorni per raggiungere gli animali. Abbiamo pure perso diversi capi a causa dei lupi. Una grossa batosta a livello economico. Qua le giornate, dopo tanti mesi, cominciano ad essere snervanti. Io riesco a mantenere una collaborazione con un giornale, almeno mi tengo impegnata, altrimenti si rischia di impazzire. Stare insieme aiuta a dividere la preoccupazione e le paure però l’esigenza di privacy e di uno spazio proprio comincia ad essere forte”.

 








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