2017-06-13 14:04:00

Israele riduce corrente a Gaza. Caritas: emergenza umanitaria


Israele si prepara a ridurre la fornitura di energia elettrica a Gaza. La decisione arriva circa un mese dopo che l’Autorità Nazionale Palestinese con sede in Cisgiordania ha annunciato che avrebbe smesso di pagare la corrente per il territorio controllato da Hamas. “L’iniziativa avrà un effetto catastrofico”, ha commentato un portavoce Hamas. Già adesso, infatti, i circa due milioni di residenti della Striscia hanno elettricità per appena circa quattro ore al giorno. Intanto per alleggerire l’isolamento di Gaza, molti membri del gabinetto di sicurezza israeliano si sono detti a favore della costruzione di un'isola artificiale, sotto controllo internazionale, a largo della Striscia ma la proposta è ferma per l'opposizione del ministro della Difesa, Avigdor Lieberman. Sulla drammatica condizione umanitaria della popolazione, Marco Guerra ha intervistato padre Raed Abushalia, già direttore della Caritas di Gerusalemme che opera nella Striscia di Gaza:

R. - Dal 2006 la gente di Gaza è chiusa all’interno della Striscia di 360 km quadrati, la più grande prigione del mondo a cielo aperto! Da allora non hanno che quattro o sei ore di elettricità al giorno. Durante l’estate fa caldissimo! Immaginate due milioni di persone senza elettricità; a Gaza c’è una sola stazione elettrica che non è sufficiente al fornimento di elettricità per tutta la Striscia. Dunque ricevono tre linee da parte dell’Egitto e sei linee di elettricità da parte di Israele. Adesso questa nuova misura di "punizione collettiva" ha ridotto la quantità di elettricità fornita da parte israeliana con la scusa che le autorità palestinesi non pagano la fattura. Ma a soffrire sono i civili che sono già poveri e devono vivere in questa situazione che potrebbe veramente distruggere, mettere in ginocchio, tutto il sistema sanitario.

D. - Parlando delle persone e delle necessità di tutti i giorni, cosa comporta un’interruzione di corrente?

R. - Voi dovete sapere che non c’è cibo; dovete sapere che a Gaza secondo l’ultimo rapporto dell’Onu, l’80 percento delle famiglie vive sotto la soglia di povertà. Il 46 percento della popolazione di Gaza è disoccupata e malgrado tutta questa situazione drammatica continuano a mettere al mondo bambini. Quasi cinquemila bambini nascono ogni mese! Questo vuol dire più di 55 mila bambini all’anno. Una resistenza che io chiamo “demografica”. Allora immaginate tutta questa popolazione che deve vivere in questa situazione, chiusa nella più grande prigione del mondo. La situazione è drammatica e a pagarne il prezzo è questa povera gente.

D. - La Chiesa, cosa sta facendo per alleviare il dolore di queste persone?

R. - A dire la verità, in mezzo a questi due milioni di persone, la presenza cristiana è minima. Prima della guerra del 2014 c’erano circa 1300 cristiani; qui c’è la presenza della Chiesa ortodossa e di quella latina. Adesso i cristiani di Gaza sono mille. Certamente la presenza cristiana nel settore sociale ed economico è molto forte. Abbiamo il Patriarcato latino che gestisce sei scuole; abbiamo la Caritas che ha un centro medico ed una clinica mobile; abbiamo la Pontifical Mission (Missione Pontificia) che sta lavorando lì. Senza la presenza cristiana e il lavoro di tutte le agenzie umanitarie di tutto il mondo la situazione sarebbe ancora più drammatica. Noi non vogliamo perdere la presenza millenaria del cristianesimo a Gaza.

D. - E voi che cosa chiedete alle autorità israeliane?

R. - Noi prima di tutto chiediamo ai palestinesi di mettere fine alla tragedia della divisione, della separazione tra West Bank e Gaza fatta da Hamas. Dobbiamo dire che se non c’è una soluzione politica di questo conflitto, Israele sarà obbligata a continuare a chiudere la Striscia di Gaza con la scusa che Hamas costruisce queste gallerie sotto terra. Dunque la responsabilità, prima di tutto, è palestinese; anche lo Stato di Israele deve mettere fine a questo conflitto, portando avanti un processo di pace vero che porti il più presto possibile alla fine di questo sistema di occupazione. Ma chiediamo soprattutto alla comunità internazionale di fare pressione sui palestinesi e sugli israeliani affinché risolvano questi conflitti. Inoltre, almeno per il momento, chiediamo all’Egitto di aprire il passaggio di Rafah, chiuso dalla guerra del 2014.








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