2017-06-17 12:02:00

Gerusalemme: polizia, attentato è opera dei palestinesi non dell’Is


A compiere l'attentato terroristico di ieri sera a Gerusalemme, costato la vita ad una giovane agente israeliana e ai tre autori dell’azione - uccisi poi dalle forze di sicurezza - è stata "una cellula locale" palestinese. Lo ha annunciato la polizia dello Stato ebraico, secondo cui "al momento non è stata trovata alcuna indicazione" che l'attacco sia stato opera di un’altra “organizzazione terrorista”. In precedenza, il sedicente Stato islamico (Is) aveva rivendicato l'attentato come il "primo in territorio israeliano" da parte dei propri miliziani, ma subito dopo era arrivata la smentita di Hamas che invece aveva ascritto al proprio gruppo e al Fronte popolare per la Liberazione della Palestina la paternità dell'assalto condotto nei pressi della Porta di Damasco. Giada Aquilino ne ha parlato con Paolo Branca, docente di Islamologia e lingua araba all’Università Cattolica di Milano:

R. – Questo fa parte della competizione tra varie sigle nell’egemonia o nella posizione che tali organizzazioni vogliono assumere agli occhi dell’opinione pubblica. La cosa preoccupante mi pare sia il fatto che siano arrivati a colpire un luogo così significativo com’è la Porta di Damasco a Gerusalemme, in fondo contagiati dal grande caos che regna nella regione. Ho paura che sia un po’ illusorio pensare che proprio la Terra Santa possa rimanere immune dalle conseguenze quando è in mezzo a Paesi che quasi non esistono più come la Siria, l’Iraq, la Libia, lo Yemen. Si stanno paurosamente allargando le conflittualità e, se i propri vicini si stanno ridisegnando i confini e i rapporti su linee di tipo etnico e religioso, temo che nessuno in Terra Santa possa rallegrarsene.

D. – E ciò avviene in un momento in cui i colloqui israelo-palestinesi sono in stallo…

R. - E’ una cosa da sottolineare, perché a partire dalle primavere arabe e fino ad oggi le condizioni per un possibile accordo di chi vive sulla stessa terra, pur essendo di etnia o di fede religiosa diversa, ci sarebbero state. Probabilmente la crisi però induce ciascuno a mantenere le proprie posizioni come se fossero un privilegio su cui non cedere e manca una visione a medio e lungo termine.

D. - Perché colpire in un venerdì di Ramadan a Gerusalemme?

R. - Perché è una Città Santa per tutte e tre le religioni e il venerdì è il giorno della preghiera comunitaria dei musulmani. Il Ramadan è il mese più sacro dell’anno liturgico islamico e quindi si vuol dare una carica simbolica a questi attacchi. Preoccupa perché, se non si riesce a trovare un punto di convivenza tra le tre grandi religioni monoteistiche che hanno poi la stesse radici, si rischia che arrivare ad una pace mondiale anche con altre culture e civiltà diventi piuttosto utopico.

D. – Il premier Netanyahu ha subito abolito i permessi di ingresso in Israele concessi ai palestinesi per il Ramadan. Che ripercussioni potrebbero esserci?

R. – Temo che questo purtroppo esaspererà ancora di più gli animi. Si parla molto di muri più che di ponti, ultimamente. Molte contraddizioni delle nostre cosiddette democrazie “di civiltà giuridica superiore” stanno purtroppo venendo al pettine, non a caso in un periodo di profonda crisi.








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