2017-06-23 13:29:00

Brexit: May offre residenza ai comunitari. Ue: non basta


E in corso oggi a Bruxelles la seconda giornata del Consiglio dei capi di stato e di governo dei Paesi Ue. Sul tavolo il tema dell’immigrazione rispetto al quale restano forti distante sull’accoglienza dei richiedenti asilo. Ieri i 27 hanno raggiunto un accordo storico su un fondo per la difesa comune e la lotta al terrorismo, mentre la premier britannica Theresa May ha illustrato le sue proposte sui diritti dei cittadini Ue che vivono in Gran Bretagna. Il servizio di Marco Guerra:

Gli Stati potranno unire le loro forze in caso di crisi ed entro tre mesi dovranno essere presentati progetti per la collaborazione "sul terreno". Inoltre si è deciso di lavorare più strettamente con le società che gestiscono il web per rimuovere la propaganda jihadista. È quanto stabilito dall’accordo, definito storico, sulla difesa comune europea raggiunto ieri al vertice di Bruxelles.

Nelle stesso ore si è discusso della Brexit. La premier May ha detto che sarà concessa la piena residenza, con tutti i diritti connessi, a chi lavora in Gran Bretagna da almeno 5 anni. Una proposta giudicata insufficiente dal presidente della commissione Juncker. Molti infatti i cittadini comunitari che rimarrebbero scoperti. Sulla prima giornata dei lavori del Consiglio Ue, il commento del responsabile del programma europeo dell’Ispi, Antonio Villafranca:

R. – La difesa è un ambito su cui gli Stati Membri hanno sempre mantenuto fortissime gelosie. Il fatto che si mettano in comune dei fondi è già un passo avanti e possiamo essere soddisfatti. È un primo passo: significativo, simbolicamente importante, ma essenzialmente non si tratta di creare un esercito europeo. Siamo ancora molto lontani da una ipotesi di questo tipo. Si tratta di mettere insieme forze di vari Paesi - non necessariamente peraltro di tutti i Paesi europei - per fare attività di addestramento. E quindi questo già anche dà l’indicazione che si tratta di un primo timido passo, la cui importanza tuttavia non sottovaluterei perché simbolicamente è invece già un passo importante.

D. – Certo, perché al momento i vari Paesi europei in ambito internazionale ricadono sotto la Nato…

R. – C’è una questione importante di collegamento tra le operazioni in campo militare - di difesa - dell’Unione Europea e la questione della Nato. Esistono già degli accordi: i cosiddetti accordi “Berlin Plus”, che stabiliscono quali sono i rapporti. Non c’è dubbio che, se l’Unione Europea facesse passi avanti concreti nella razionalizzazione quantomeno delle spese militari dei vari Paesi membri, questo le permetterebbe di essere anche più efficace, di intervenire meglio e di più anche in ambito Nato. E risponderebbe indirettamente anche alle esigenze portate avanti non solo da Trump, ma in precedenza anche dagli altri presidenti americani: avere un’Unione Europea che, nel campo della politica estera e della difesa, risulti più attiva e contribuisca obiettivamente di più.

D. – Ieri si è discusso anche di Brexit. La premier May ha illustrato le sue proposte sui diritti dei cittadini Ue; Londa vuole concedere la piena residenza a chi lavora in Inghilterra da almeno cinque anni…

R. – Partiamo da un dato. Ci sono circa 200mila italiani residenti in Gran Bretagna, ma in realtà, se consideriamo tutti gli italiani presenti nel Paese, questi sono circa 600mila. Allora, sui 200mila che hanno già la residenza, le idee effettivamente da ieri sembrano un po’ più chiare, cioè se la residenza c’è almeno da cinque anni, allora si può accedere anche a tutto il welfare e a tutti i servizi, a partire anche da quelli sanitari. Per gli altri – due italiani su tre che sono presenti in Gran Bretagna – la situazione è ancora molto opaca: non si capisce neanche il momento a partire dal quale per questi ultimi, se oggi per esempio chiedessero la residenza, poi decorrerebbero i cinque anni. Quindi anche lì si tratta di un piccolo primo passo, di un segnale di apertura della May, che è segno di una debolezza in realtà della premier: la debolezza che viene dal fallimento che ha registrato nell’ultima tornata elettorale.

D. – Quindi questo smentisce chi parla di una prospettiva di uscita più soft…

R. – All’inizio sì. È inevitabile che, rispetto a quella posizione dura e ferma che ha avuto la May nei mesi precedenti, ci sia un ammorbidimento dei toni, una ricerca del compromesso. Ma quando si andranno a chiudere i dossier, lì sarà difficile per la May trovare un compromesso, perché la difesa del compromesso all’interno del suo stesso governo, partito, diventerà ovviamente difficile. E quindi necessariamente un governo debole e con cui è più facile trattare. Anzi, di solito è un governo che si irrigidisce proprio perché la sua debolezza non gli permette di raggiungere dei compromessi.

D. – La giornata di oggi è dedicata all’emigrazione: posizioni molto distanti dei Paesi dell’Est, del gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Rep. Ceca e Slovacchia), che rifiutano di accogliere nuove quote di migranti: è possibile prospettare un nuovo nulla di fatto sull’immigrazione? Le distanze sono incolmabili?

R. – Purtroppo sì: questo è proprio uno di quei dossier su cui le posizioni potranno riavvicinarsi perché i Paesi di Visegrád sono totalmente contrari. Ma non è soltanto colpa loro: non dimentichiamo che la stessa Francia e la Germania hanno sospeso Schengen; ci sono vincoli che sono stati reintrodotti alla libera circolazione. Proprio perché quello delle migrazioni è un tema estremamente sensibile da un punto di vista politico, trovare un compromesso è molto difficile. Quello che è un dato di fatto è che i Paesi di Visegrád, rispetto ad esempio ai ricollocamenti dei migranti, si stanno ponendo fuori dagli accordi, ed è possibile adire la Corte di giustizia proprio perché non stanno rispettando dei patti che sono stati già presi.








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