2017-06-24 12:43:00

Allarme Msf: Centrafrica tra violenza, fame e profughi


Peggiora la situazione nella Repubblica Centrafricana, dove non regge la tregua tra governo e gruppi armati, siglata a Roma, con l’intermediazione della Comunità di Sant’Egidio. Violenze e scontri continui, villaggi messi a ferro e fuoco e l’espulsione di 600 caschi blu congolesi, che operavano nel Paese, per l’accusa di stupri e abusi su donne e minori. Molte Ong stanno lanciando appelli per fermare la violenza, ma anche per rispondere in modo adeguato all’emergenza umanitaria con oltre un milione di sfollati, epidemie di malaria e meningite, scarso accesso ad acqua potabile, cibo e medicine. Gabriella Bianchi, responsabile affari umanitari di Medici Senza Frontiere (Msf), appena rientrata dal Centrafrica, racconta la sua testimonianza, al microfono di Cecilia Seppia:

R. – La situazione in Centrafrica sta veramente precipitando, con picchi di violenza terrificanti che non vedevamo dal 2014. Msf ha dei progetti in gran parte delle zone interessate: al Nord e all’Est del Paese dove forniamo assistenza medica e umanitaria. Sul terreno vediamo gli effetti di questa violenza che colpiscono soprattutto i civili. Il numero di sfollati continua a crescere e i bisogni umanitari sono sempre più acuti, più urgenti. Negli ultimi mesi si parla di più di 100 mila persone che sono fuggite. Insomma, a questo punto ormai una persona su quattro è rifugiata o internamente al Paese o nei Paesi limitrofi.

D. – Tu sei stata operativa sul terreno: che cosa hanno visto i tuoi occhi? Che cosa si portano dietro da questa esperienza in Centrafrica?

R. – Sono stata a Bria, teatro dell'ultimo sanguinoso attacco, dove la gente è fuggita dalle proprie case per proteggersi dall’arrivo improvviso di uomini armati di diversi gruppi. Non c’è nessuno che viene risparmiato. Queste persone sono prese di mira per questioni religiose oppure per appartenenze etniche; ma sono anche aggredite e derubate da banditi. C’è un livello di violenza, e anche un tipo di violenza, terrificante, con torture che vengono fatte sui civili, sulle persone più vulnerabili: le donne, i bambini, che sono presi e torturati in mezzo alle strade. Noi per esempio, a Bria, abbiamo curato gente che era stata attaccata con colpi di macete e alle quali erano state staccate le dita, colpita la testa, e altre parti del corpo… La gente fugge e non ha prospettive di ritornare, perché poi le case vengono bruciate, si rifugiano nei campi profughi o nelle chiese: addirittura noi in ospedale, a Bria, abbiamo più di 6 mila persone. La situazione è veramente molto difficile anche da un punto di vista umanitario, perché chiaramente un campo che magari era stato costruito per tremila persone adesso si ritrova ad ospitarne più di 20 mila. Ricordiamoci anche che questo è il periodo delle piogge, quindi con picchi di malaria, che è la causa principale di mortalità in quelle zone. È tutta gente che vive senza zanzariera, senza acceso a medicinali, uno sopra l’altro…

D. – Si parla, lo dicevi anche tu, di violenze interetniche, ma immagino che di fronte alla fame, alla povertà e alla guerra voi non facciate differenze, ma neanche la popolazione... 

R. – La popolazione è terrorizzata, non è la gente che fa distinzioni. Tanti fuggono anche solo quando sentono parlare dell’arrivo di uomini armati. Non coltivano più i campi, non possono più muoversi. Le donne hanno paura di essere violentate: la violenza sessuale è "un’arma di guerra" in quelle zone. Gli uomini hanno paura di essere uccisi. Spesso, se hanno bisogno di andare a un centro di salute, non ci vanno nemmeno perché temono la violenza.

D. – Voi siete lì come operatori: guardate ovviamente l’aspetto umanitario, assistenziale, sanitario, però credo che vi siate fatti anche un’idea sul fatto che serva un intervento maggiore da parte della comunità internazionale. Si dice sempre così, ma poi nel concreto non si capisce che cosa dovrebbe fare la comunità internazionale…

R. – Intanto finora – e siamo praticamente a luglio – meno del 30 percento dei finanziamenti per le urgenze è stato assicurato: mancano i fondi per la risposta all’urgenza. È necessario quindi che si attivi un intervento umanitario adeguato ai bisogni e che questi finanziamenti, che sono necessari, siano messi a disposizione al più presto.

D. – 25 anni di guerra civile, ma che Paese è oggi il Centrafrica?

R. – Paragonato al Sud Sudan e, ad esempio, al Mali e alla Nigeria – tutti Paesi in cui ci sono grandi crisi alimentari – è un Paese molto ricco: pianti una cosa e cresce subito. E' pieno di risorse... L'agricoltura potrebbe dare ottimi risultati. Ma non bisogna dimenticare che è un Paese con una popolazione molto piccola: sono solo cinque milioni di abitanti. Le cifre quindi non rispecchiano l’entità, l’impatto, che ha questa violenza efferata.








All the contents on this site are copyrighted ©.