2017-06-28 14:53:00

Charlie: la Corte europea approva la sospensione delle cure


I medici britannici potranno staccare il respiratore del piccolo Charlie Gard, il bambino di 10 mesi nato con una rara malattia genetica, che sta progressivamente indebolendo i suoi muscoli. È quanto ha deciso ieri sera  la Corte europea per i diritti umani di Strasburgo, respingendo l’ultimo ricorso dei genitori che vogliono portare Charlie negli Stati Uniti per sottoporlo ad una cura sperimentale. La vicenda sta spaccando l’opinione pubblica e oltre centomila persone hanno firmato una petizione per chiedere alla premier Theresa May di intervenire. Il servizio di Marco Guerra:

Con un decisione “definitiva”  la Corte europea ha dato ragione ai medici del Great Ormond Street Hospital che vogliono interrompere le cure che tengono in vita Charlie. Secondo i giudici proseguire il trattamento “continuerebbe a causare a Charlie un danno significativo” e la terapia sperimentale a cui i genitori vorrebbero affidarsi negli Usa “non ha prospettive di successo”. Intanto, all’ospedale di Londra hanno fatto sapere che “non ci sarà alcuna fretta nel cambiare le cure del bambino”. Sul pronunciamento sentiamo il direttore dell'Istituto di Bioetica della Facoltà di Medicina e chirurgia Agostino Gemelli dell'Università Cattolica del S. Cuore, Antonio Spagnolo:

R. - Il pronunciamento del tribunale della Corte Europea dei diritti dell’uomo mette in evidenza purtroppo un orientamento che è quello di affidare ai giudici decisioni che dovrebbero rimanere all’interno di una relazione tra medico-paziente, tra medico- genitori. Quindi la prima cosa da dire è che in queste decisioni è importante fermarsi a riflettere bene e mettere al centro di tutto il vero bene del bambino.

D. - Lei si è fatto un‘idea di come stanno veramente le cose riguardo al fatto di poter tentare negli Stati Uniti una cura sperimentale?

R. - Intanto bisogna dire che ogni intervento sperimentale sicuramente può essere utile per acquisire nuove conoscenze o per dare anche una chance. In generale, il concetto di sperimentazione prevede di lavorare su grandi numeri per arrivare a risultati che possano essere significativi. In questo caso è una sperimentazione fatta sul singolo paziente. Tra l’altro non sappiamo se un Comitato etico abbia mai valutato questa sperimentazione. È facile che qualcuno dica: “Io posso fare questo tipo di intervento”, ma senza sapere se questo tipo di intervento possa avere una qualche probabilità di successo. Anche la Congregazione per la Dottrina della Fede nel documento riguardo l’eutanasia dice che il paziente può dare la disponibilità ad essere sottoposto ad un intervento anche se non c’è possibilità per lui, anche per il bene per la scienza, ma questo lo deve fare un soggetto capace di intendere e di volere. Non possono essere i genitori a dare la disponibilità per un intervento che potrebbe essere per il paziente, ma potrebbe avere soltanto un’indicazione per il beneficio di altri pazienti in futuro. Quindi bisogna capire bene il senso della sperimentazione e la ragionevolezza; non sempre fare una cosa sperimentale significa fare il bene del paziente.

D. - Sull’utilità o meno di queste cure quindi chi dovrebbe intervenire?

R. - Ci sarebbero tante cose da fare, però la domanda che dobbiamo farci è se, invece, non sia necessario che qualche avvocato di questo bambino possa valutare effettivamente le ragioni dei genitori e le ragioni dei medici. Anche noi del Policlinico Gemelli abbiamo fatto un protocollo per evitare l’accanimento terapeutico nei bambini che erano gravemente malati. Quindi riporterei tutto all’interno di una consultazione etica all’interno dell’ospedale, di un Comitato etico che possa valutare questa situazione in modo umano, evitando la burocrazia o quello che un tribunale può fare. Questo, per inciso, è il rischio che corriamo per esempio anche con la nostra legge italiana, se verrà approvata, sulle dichiarazioni anticipate in cui si rimanda tutto ai giudici.

Charlie nasce apparentemente in buona salute. Ma dopo otto settimane comincia a perdere  peso e gli viene diagnostica una sindrome di deperimento mitocondriale. I medici dicono che non ha speranze, ma i genitori ricorrono alla giustizia per non far sospendere le cure e raccolgono i fondi per portare il bambino negli Stati Uniti e sottoporlo a trattamenti sperimentali. Una battaglia che ha avuto il merito di gettare i riflettori sulle malattie rare. Su questo aspetto delle vicenda sentiamo Piero Santantonio presidente di Mitocon Onlus, associazione per lo studio e la cura delle malattie mitocondriali:

R. - Il caso di Charlie è il caso di tanti bambini che noi conosciamo. Le malattie mitocondriali sono malattie strane, non si conoscono da molto. La ricerca le studia soltanto da 30 anni, non ci sono ancora a disposizione terapie particolarmente efficaci, ma negli ultimi anni barlumi sul discorso delle terapie finalmente si intravedono. Il caso di Charlie è anche il caso delle nostre famiglie. Se volessimo applicare gli stessi criteri ci sarebbero delle famiglie distrutte perché questi bambini, è vero che sono particolarmente compromessi, hanno una qualità della vita molto bassa se comparata con gli standard di quella che chiamiamo vita normale, ma bisogna conoscere i casi famigliari per capire che la qualità della vita è un concetto relativo e che le malattie permettono alle persone di vivere delle esperienze molto intense che fanno riguadagnare una visione positiva verso la vita che non può essere spenta.

D. - Voi che idea vi siete fatti? Negli Usa c’è veramente la possibilità di andare incontro a nuove cure?

R. - Nel mondo ci sono delle opzioni terapeutiche per la famiglia delle sindromi, in particolare quella che colpisce Charlie. L’ipotesi terapeutica è una supplementazione con nucleodidi che dà risultati interessanti ed è inconcepibile che Charlie non abbia la possibilità di provare. Questo è ancora più importante se pensiamo al fatto che la terapia di cui stiamo parlando è assolutamente sperimentale e che richiede proprio che ci siano dei volontari che vogliano sottoporsi a questa. Se mettiamo in dubbio che questo sia lecito, dobbiamo farlo allora in tutti i casi in cui si fanno terapie sperimentali su soggetti gravemente compromessi.








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