2017-06-28 16:32:00

Vescovo Ventimiglia: bonifica sì ma con accoglienza concreta


"Condivido abbastanza il termine ‘deportazione’. E’ un termine forte, però rivela quella che un po’ forse era una intenzione mascherata, spero di no, dietro la pulizia che si è fatta sul greto del fiume". Così ai nostri microfoni Mons. Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia, a proposito dei 400 migranti subsahariani, i quali, in seguito all’ordinanza del sindaco della città di procedere con la pulitura del letto del Roya, si sono trovati nella condizione di dover abbandonare il loro rifugio temporaneo sotto il cavalcavia dell’autostrada, vagando e nascondendosi tra i boschi al confine con la Francia, con l'esito che una buona parte di loro è stata forzatamente trasferita a Taranto. 

"Comprendo che era necessario bonificare ma lo scopo che io condividerei è quello di andare a favore di queste persone che erano accampate in modo assolutamente precario in quel luogo", continua il vescovo. "In realtà mi pare che tutto stia portando semplicemente a liberare la zona dall’accampamento improvvisato, e fin qui nulla di male, ma vedrei meglio accompagnare queste operazioni di pulizia con una possibilità concreta di accoglienza. Il problema è che queste persone hanno paura, non possiamo pretendere che leggano i fatti nello stesso modo in cui li leggiamo noi. E poi la cosa che assolutamente io non condivido è di riportarli forzatamente a Taranto costringendoli a fare un altro viaggio faticoso per poi tornare qui. Perché la loro intenzione resta di andare in Francia o di attraversarla. Il problema vero - sottolinea Suetta - è l’ostinata chiusura della Francia che ritengo ingiusta, sia nei loro confronti per ragioni umanitarie sia nei nostri confronti per ragioni di solidarietà e di comunione all’interno dell’Ue. Ma, soprattutto, il prezzo viene fatto pagare da queste persone che sono senza un riferimento sicuro. A Taranto peraltro non è predisposta una risposta alle loro domande e i supporti per accompagnarli a realizzare ciò che desiderano. In ogni caso - conclude il presule - gli stessi aiuti umanitari, per quanto ottimi, rimangono parziali e non sono in grado di consentire alle persone un salto di qualità che, spesso, dipende da un cambiamento di sistema. Molte volte i loro sistemi sconnessi, ingiusti, difficili da vivere, dipendono anche da influenze passate e contemporanee del nostro mondo".

I progetti sanitari di Intersos e per i minori non accompagnati

Chi ha osservato con delusione e sconcerto ciò che è accaduto negli ultimi giorni a Ventimiglia è Alessandro Verona, medico, operatore umanitario INTERSOS a Ventimiglia, il quale da mesi guida un team di monitoraggio della situazione e che all'attivo ha esperienza anche in altre frontiere, come in quella greco-macedone. "E' un gioco dell’oca inutile quello di rimandare a Taranto queste persone, anche perché solo il 3% di loro si può considerare sfuggito al fotosegnalamento. E' vero che Ventimiglia è un Comune piccolo sottoposto a fortissimo stress, ma il punto vero è che l’Italia non è un Paese a misura di accoglienza per il transito. Nell'accampamento c'è degrado sì, ma il rischio più grave è il rischio per la persona. E lì c'è questo rischio come ha dimostrato la fuga". E spiega quale è l’odissea del minore nell'odissea enorme dei migranti: "Adesso possono entrare anche i ragazzi dai 16 ai 18 anni nell’area del fiume, fino a pochi giorni fa avevano pochissimi luoghi dove poter stare. Abbiamo ottenuto per adesso la presenza all’interno della Croce Rossa di 54 posti". Cosa dedurre da questo episodio? "Quello che abbiamo potuto constatare da quello che è successo è che quando c’è la volontà si va, comunque. Queste 400 persone, a prescindere dagli input arrivati a loro da altre persone che non conosciamo, si sono fracassate contro un muro che è doloroso vedere: quello tra Francia e Italia che l’Europa l’hanno fondata". 








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