2017-07-08 12:30:00

"Volti di Palmira ad Aquileia": due città di confine a confronto


E’ stata inaugurata il primo luglio scorso e sarà aperta fino al 3 ottobre presso il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, Udine, la mostra “Volti di Palmira ad Aquileia”. Si tratta della prima esposizione in Europa dedicata alla città siriana, dopo le recenti distruzioni ad opera dell’Is. Diverse le manifestazioni collegate tra cui la presentazione di un libro su Palmira, edito dalle Edizioni Terra Santa. Il servizio di Adriana Masotti:

Colonia romana fondata nel 181 a.C., capitale della X regione augustea, Aquileia ha molto in comune con Palmira, vivace città ai confini orientali dell’Impero di Roma. Lo dimostrano anche i 16 reperti di quella terra, esposti nella mostra organizzata dal Polo museale del Friuli Venezia Giulia e dalla Fondazione Aquileia. Sull’ iniziativa sentiamo il presidente della Fondazione, Antonio Zanardi Landi:

R. – Aquileia è una grande realtà archeologica, una grande memoria storica ed è il compito della Fondazione quello di valorizzarla, di renderla interessante, di renderla attraente per studiosi e per visitatori. E ci è sembrato che anche per lo specifico patrimonio di Aquileia come simbolo di convivenza, come simbolo di scambio tra l’Oriente e l’Occidente, uno dei filoni che avremmo potuto seguire è quello che abbiamo chiamato “dell’archeologia ferita” che vuole portare ad Aquileia cioè pezzi, opere d’arte provenienti da siti e da musei devastati dal terrorismo fondamentalista. Abbiamo iniziato a fine 2015 con una mostra dedicata al “Bardo”, pochi mesi dopo gli attentati e le uccisioni al “Bardo” in Tunisia, e abbiamo visto come nel III secolo dopo Cristo il Mediterraneo fosse un’unità, non solo un’unità economicamente integrata, ma anche e soprattutto un luogo di scambi e di circolazione di canoni artistici e di idee. Palmira è il simbolo delle distruzioni, è il simbolo dello sforzo di distruzione della memoria che viene fatto in Siria, in Iraq e in tanti altri Paesi dell’area, in questi anni. Per questo abbiamo pensato di scegliere Palmira e siamo stati anche aiutati dal fatto che il Museo della Custodia di Terra Santa chiudesse in questi mesi e fosse disposto a prestarci la sua importantissima collezione di pezzi palmireni che in qualche modo costituisce il nucleo centrale della mostra. Una mostra davvero di tutto rispetto, molto importante da un punto di vista scientifico, molto facile da comprendere perché anche qui c’è una sorta di dialogo tra pezzi aquileiesi e pezzi palmireni … E’ una mostra che ci consente di dare un segnale forte di interesse nei riguardi di quanto sta succedendo in Paesi per noi così importanti dal punto di vista di eredità culturale e spirituale.

D. – Come diceva lei, ci sono nella mostra ad Aquileia dei pezzi originari di Palmira: sono 16. Da queste opere, che tipo di civiltà emerge? Che civiltà era, quella di Palmira?

R. – Intanto, vediamo che tra opere contemporanee – cioè del III secolo – palmirene e aquileiesi, vediamo come le opere aquileiesi sono più rustiche, in qualche modo, e come Palmira doveva essere una città più grande, più sofisticata, più elaborata. Le palmirene sono veramente molto, molto particolari anche se i canoni artistici rispondono a una medesima ispirazione. Quello che a noi interessa è mettere in risalto come sia Palmira sia Aquileia fossero città di confine, città di dialogo con qualcosa di diverso. Palmira aveva dietro di sé l’Impero persiano, Aquileia aveva i Balcani e un mondo popolato da popolazioni barbare che poi la distrussero. Ma per molti secoli, Aquileia come Palmira è stato un luogo di scambio con l’Oriente, un punto di passaggio e un punto di elaborazione, di metabolizzazione, di idee e di religioni.

D. – Un esempio che può dire qualcosa anche all’oggi …

R. – Certamente. Sono idee su cui noi cerchiamo di lavorare, che cerchiamo di valorizzare facendo appunto risaltare una vocazione specifica di Aquileia.

D. – Sperando che poi anche nel Mediterraneo – in Siria, in Iraq, appunto – si possa tornare a vivere pacificamente e in armonia …

R. – Speriamo! Noi speriamo che sia effettivamente realizzabile quello che ci spiega il professor Mattì e cioè che con qualche sforzo sarà comunque possibile ritirare su buona parte di quello che l’Isis ha distrutto e che Palmira continui dunque a essere quel simbolo importantissimo che è stato per tanti anni.

“Palmira non merita di essere ricordata solo per lo scempio che ha subito”. Così Maria Teresa Grassi, docente di archeologia presso l’Università degli Studi di Milano, e autrice del volume “Palmira. Storie straordinarie dell’antica metropoli d’Oriente” che verrà presentato nel contesto della mostra:

R. – Palmira è stata una grande città situata quasi ai confine dell’Impero romano che arrivava fino all’Eufrate. Grazie a questa sua posizione, in un’oasi nel deserto, è diventata un importantissimo punto di passaggio, una città carovaniera. Da qui passavano tutte le carovane con beni di lusso che andavano verso Roma e il Mediterraneo e questo ne ha determinato la grande ricchezza dei suoi abitanti che anche sotto forme monumentali ne hanno fatto una città romana. Quindi ha questa particolarità di essere una città con dei monumenti romani, dei monumenti in pietra, in un’oasi nel deserto. Questo dà e ha dato al sito una spettacolarità che tutti i viaggiatori dal ‘700 in poi non hanno mancato di lodare, di ricordare.

D. - Centro di traffici e incontro di culture e di etnie …

R. - Infatti è molto interessante e ci sono storie che meritano di esser raccontate. Per esempio, c’è la storia che riguarda le divinità, perché ogni gruppo che era stanziato a Palmira si portava dietro i suoi dei. E tutti questi dei convivevano nella città; per esempio abbiamo la stranezza di avere due divinità che sono tradotte, interpretate in greco come Zeus. Quindi abbiamo due Zeus che tra l’altro sono quei Bel e  Baal Shamin  che hanno  visto i loro templi distrutti dall’ esplosivo. Invece, nei tempi antichi, ogni comunità che viveva a Palmira aveva i suoi dei, aveva i suoi templi e poi convivevano pacificamente, facendo affari naturalmente.

D. - Nel suo libro lei descrive la vita che si svolgeva in questa città …

R. - Sì, nel libro ci sono delle parti che riguardano i monumenti, i grandi complessi monumentali di Palmira come ad esempio la Via Colonnata oppure, come ricordavo, i templi. Però ci sono anche delle parti che riguardano la vita quotidiana, per esempio ricordata da quella straordinaria epigrafe che è “La tariffa di Palmira” che ricorda tutte le tasse che i palmireni dovevano pagare, anche loro erano tartassati. Poi un altro aspetto interessante, secondo me, è quello dei legami di famiglia, dei legami di clan che ci sono a Palmira che sono magnificamente illustrati da quelle grandi tombe collettive di famiglia da cui provengono poi i rilievi funerari che oggi sono in parte in mostra ad Aquileia.

D. - Lei conosce di persona Palmira perché ha diretto la missione archeologica italo- siriana a Palmira dal 2007 al 2010. Che esperienza è stata?

R. – Un’esperienza straordinaria. Il nostro scavo riguardava una casa privata. Mentre a Palmira sono conosciuti di più i monumenti pubblici, è meno noto l’ambito privato, quindi avevamo cominciato – purtroppo solo cominciato – lo scavo di questa casa privata. Abbiamo ricavato qualche dato sulla vita privata dei palmireni. Noi lavoravamo a stretto contatto con i colleghi della direzione generale di Damasco. Ricordo che il co-direttore della missione era Al Assad, figlio di Khaled, il direttore che è stato assassinato due anni fa. Quindi avevamo questo rapporto sia con gli studiosi, ma direi anche con la popolazione di Palmira, con i tanti operai che lavoravano con noi, tutte le persone che abbiamo conosciuto e che forse oggi troppo spesso vengono dimenticate. Ricordo che vicino a Palmira, vicino al sito archeologico c’ èra Tadmor, una citta con decine di migliaia di abitanti: oggi è una città fantasma. Quindi anche questo dramma umano che si sta vivendo naturalmente, oltre al patrimonio culturale, ci tocca molto da vicino.








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