2017-07-12 13:03:00

Lettera "sul pane e il vino": commento di mons. Magnoli


Un documento molto importante, utile per evitare abusi. Così mons. Claudio Magnoli, esperto di liturgia e membro della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, definisce la lettera circolare ‘sul pane e sul vino per l’Eucarestia’ inviata dall’organismo del quale fa parte a tutti i vescovi del mondo. La Congregazione ribadisce che il pane “utilizzato nella celebrazione deve essere azimo, esclusivamente di frumento e preparato di recente; mentre il vino deve “essere naturale, frutto della vite, genuino”. “Tutto questo perché così è stato voluto da Nostro Signore Gesù Cristo e non si può modificare” spiega mons. Magnoli. Federico Piana lo ha intervistato:

R. – La lettera chiede soprattutto ai vescovi una grande vigilanza sulla qualità del vino, del pane, perché la materia del sacrificio eucaristico va a determinare quello che poi noi crediamo del mistero dell’Eucaristia. Quindi, c’è un rapporto stretto tra ciò che crediamo della profondità del Mistero e ciò che si manifesta attraverso il segno sensibile del pane e del vino.

D. – Dev’essere utilizzato esclusivamente pane azzimo, di frumento, e preparato di recente in modo che non ci sia alcun rischio di decomposizione…

R. – La scelta del pane azzimo è la scelta della Chiesa occidentale, latina, da sempre. Sappiamo che c’è una scelta differente per le Chiese d’Oriente che non hanno una scelta precisa sul pane azzimo, ma l’accento va soprattutto – esclusivamente – sul pane di frumento, in modo che sia riconoscibile il pane autentico che proviene dalla spiga di frumento. Questo è stato sottolineato da tanti Concili dell’antichità fino all’applicazione del Concilio Vaticano II che ha mantenuto in questa direzione la scelta della Chiesa. E quindi tutte le regole poi più specifiche determinano come ben custodire questo: che sia da una parte vero frumento e dall’altra che sia anche pane azzimo.

D. – Anche perché è invalida l’Eucaristia se mancano questi elementi…

R. – Sì, se manca uno degli elementi – pane dal frumento e vino dalla vite – certamente l’Eucaristia che celebriamo non è Eucaristia. Quindi non ha la validità di corrispondere a quanto è stato il gesto istitutivo da parte del Signore.

D. – Come mai abbiamo assistito a tanti abusi? La birra al posto del vino, oppure l’ostia spolverata con il miele e lo zucchero: questi sono alcuni degli esempi più noti. È perché non si crede più a ciò in cui dovremmo credere?

R. – Alla radice sta una “teologia della inculturazione”: quella idea per cui Gesù avrebbe scelto il pane e il vino semplicemente come elemento della sua cultura, quella del mondo mediterraneo. Per cui alcuni teologi, e poi alcuni pastoralisti, hanno ipotizzato che in altre aree - in Giappone il sakè; in altre aree ancora la manioca e altri cereali più conosciuti; in Europa del Nord la birra al posto del vino - pane e vino si potessero sostituire con altri elementi propri di ciascuna cultura. Aldilà di questa riflessione teorica poi, c’è chi ha dato attuazione pratica a questa idea contravvenendo però alla regola della Chiesa che su questo è sempre stata molto convintamente costante. Se nell’esito potremmo parlare di scelte un po’ creative e strane, forse alla radice c’è da ritrovare una teologia che sappia rispondere a questa idea che Gesù ha scelto pane e vino soltanto come elemento culturale e non come elemento invece forte, determinante, proprio del Sacramento che ci ha consegnato.








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