2017-07-13 19:30:00

Charlie. Nuova udienza. Morresi: due mentalità a confronto


Aggiornata a venerdì 14 luglio l'udienza presso l'Alta Corte britannica sul caso di Charlie Gard, il bimbo di 11 mesi affetto da una rara malattia genetica. Si sta valutando se applicare al piccolo il protocollo sperimentale messo a punto da un gruppo internazionale di esperti, come chiedono i genitori, o se confermare quanto già deciso prima dallo stesso giudice, cioè autorizzare l’ospedale che lo ha in cura a staccare le macchine che lo tengono in vita.

Si tratta di udienze sotto l’attenzione dei riflettori internazionali, che deciderà sulla vita di Charlie. In mattinata è emerso un disaccordo sulla misurazione della circonferenza cranica del bimbo. I genitori sostengono che sia cresciuta di 2 cm negli ultimi mesi, segno che il cervello ha continuato a svilupparsi, mentre per l’ospedale in tre mesi non è cambiato nulla. "E' assurdo - ha  detto il giudice - che la verifica scientifica in questo caso venga pregiudicata da una incapacità a misurare il cervello" del bambino, chiedendo di fornire i dati sulle dimensioni della testa di Charlie entro domani. I genitori, ad un certo punto, hanno lasciato l’aula e poi l’udienza è stata sospesa. Poco prima la madre ha ribadito che il piccolo non sta soffrendo.

Alla ripresa, nel pomeriggio, il collegamento via web con il medico statunitense che vorrebbe curare il piccolo: secondo la sua previsione ci potrebbe essere un miglioramento significativo del 10% della condizione clinica del bambino. L'elettroencefalogramma di Charlie, infatti, mostra una disorganizzazione dell'attività cerebrale, non un danno strutturale maggiore. L'udienza è stata dunque aggiornata a venerdì 14 luglio.

Intanto continua la mobilitazione internazionale per Charlie. La vita va difesa fino in fondo, “quindi siamo profondamente alleati” dei genitori, ha detto ieri sera il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti.

Sullo sfondo di questa vicenda ci sono considerazioni mediche, scientifiche, legali ma anche antropologiche, cioè su quale sia il maggior interesse per il bimbo. Si stanno quindi confrontando due mentalità? Debora Donnini lo ha chiesto ad Assuntina Morresi, membro del Comitato Nazionale di Bioetica:

R. – Sicuramente sì. C’è chi pensa che il maggiore interesse sia vivere e quindi bisogna provare tutte le possibilità perché la vita in sé è un valore; c’è invece chi giudica in base alla qualità della vita: cioè se questa non è adeguata ai parametri che via via ci si dà – da noi, da soli – allora il “migliore interesse” è morire.

D. – Ma l’esperienza anche di tanti genitori che hanno figli con malattie di questo tipo parla di vita e di amore, com’è stato testimoniato in questi giorni…

R. – Assolutamente. Infatti la questione del “miglior interesse” a vivere non è astratta ma concreta: si basa su un’esperienza dove la relazione tra la persona malata o con meno possibilità delle persone sane, la relazione tra la persona malata e gli altri, non è determinata dalle condizioni di vita, ma dall’interesse e l’affetto reciproco. E quindi questa relazione diventa importante. Mentre invece se uno giudica solamente una persona in base alle possibilità, alle capacità e alla salute, a prescindere da qualsiasi relazione, come fosse un “oggetto”, se uno pensa così, allora è bene che non vada avanti, che non sia nel mondo... Ma è un criterio in cui si mettono totalmente da parte le relazioni e si giudica una persona in base sostanzialmente alle proprie performance. Questo non significa che ognuno di noi vorrebbe che il proprio figlio vivesse così, ma la vita e il mistero della vita e delle relazioni ci dicono che anche in quelle condizioni si può vivere una vita piena che vale la pena sia vissuta. La scelta di dire “rinuncio” non ha lo stesso valore di dire “provo fino alla fine”.

D. – C’è anche la questione se quando si discute del “migliore interesse”, in questo caso del bimbo, si debba andare verso il favor vitae o il favor mortis

R. – Il problema è che, se si è convinti che il “migliore interesse” sia vivere solo in certe condizioni di salute, automaticamente tutti i meccanismi di tutela della persona si voltano contro, perché sono rovesciati i valore di riferimento. Non si va più verso il favor vitae ma si va verso il favor mortis, perché l’idea non è più quella di favorire la vita, ma di favorire la morte se certe condizioni non ci sono più.

D. – E tra l’altro, non si parla di dolore fisico insopportabile…

R. – Non esiste un dolore fisico insopportabile, non controllabile con le cure palliative: questo dobbiamo saperlo tutti e deve essere alla base. La domanda infatti è: se non funzionasse la terapia alternativa, qual è la controindicazione a fare un trattamento palliativo tenendo attaccato il respiratore e la nutrizione artificiale.

D. – Viene anche da pensare ai tanti scrittori di origine britannica, come Clive Staples Lewis, Gilbert Keith Chesterton e  Robert Hugh Benson, e agli esperimenti genetici nei quali il Regno Unito è all’avanguardia: quanto incide questa visione?

R. – E’ fondamentale: è questo il vero nodo o l’altra faccia di quello che abbiamo appena detto. In Gran Bretagna in queste settimane hanno consentito la manipolazione genetica che permette la nascita di bambini con il Dna di tre persone: i cosiddetti “tre genitori”. È una tecnica per cui non si ha la sicurezza sanitaria sufficiente che i nati saranno sani ma si va avanti lo stesso. D’altra parte la prima bambina in provetta è nata lì. Il problema è che lì prevale una mentalità manipolatoria: sono io il padrone della situazione e anche il padrone della vita e della morte. Sembra grande, enorme, dirlo così, ma in fondo è questo. E anche quello che traspare dagli scrittori citati: in fondo “Il Padrone del mondo” era un po’ questo…








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