2017-07-28 14:19:00

Siria. P. Youssef: uniti nella preghiera per padre Dall'Oglio


Di Gabriella Ceraso

Il 29 luglio saranno quattro anni dalla scomparsa di padre Paolo Dall’Oglio, gesuita romano e fondatore della comunità monastica siriana di Mar Musa, sequestrato nella città di Raqqa, in Siria. Dal 2013, molte le voci sulla sua sorte, ma mai nessuna certezza anche se nel tempo si sono moltiplicati gli appelli, il più importante quello del Papa a liberare lui e tutte le persone sequestrate in Siria. Questo sabato a ricordare il religioso a Roma sarà una Messa alle 18,30 nella parrocchia di S. Giuseppe a via Nomentana, per pregare insieme per la pace e per tutti i rapiti in Siria e in Iraq. Intanto resta nel tempo sempre l'impegno di padre Paolo Dall'Oglio all’armonia e alla condivisione con i musulmani, vissuto tutt’oggi a Mar Musa dai confratelli della comunità fondata dal gesuita. Tra loro anche padre Jihad Youssef, che insieme agli altri religiosi continua a  pregare e a sperare nel rilascio di padre Paolo:

Ascolta e scarica il podcast con l'intervista a padre Youssef

R. – Noi siamo uniti nella preghiera per tutte le persone in difficoltà e per tutte le persone sequestrate i cui cari non hanno più notizie. crediamo fermamente nella potenza della preghiera.

D. - Quattro anni di assenza di padre Paolo, ma soprattutto anni di guerra. Come la guerra ha impattato sul vostro luogo di preghiera comune e sul rapporto con i musulmani?

R. - Fino ad un anno fa non veniva nessuno per il pericolo della guerra. Da un anno invece la gente è tornata a visitarci, a venire a pregare, a incontrare monaci e monache. Vengono persone e famiglie, piccoli e grandi, alcuni per una giornata, altri invece dormono qui e pregano con noi.

D. - La vocazione di padre Paolo, come quella di tutti voi, è all’armonia. Quali frutti state raccogliendo in questo senso?

R. - I frutti dell’amicizia e del rispetto, che non abbiamo mai perso verso i nostri vicini e amici sia musulmani che cristiani. Da secoli in questa società siamo fratelli. È vero che la guerra in Siria ha toccato la bellezza del vivere insieme come una sola comunità, come un solo corpo, ma questo punto, direi, è ancora forte anzi ci siamo resi conto che la nostra amicizia è servita a mantenere la società più forte, più unita. Noi siamo una mano della Chiesa tesa verso il mondo musulmano, una testimonianza del Vangelo che rispetta l’altro e che cerca di capire di apprezzare la sua fede e considerare il bene che hanno come nostro.

D. - Le posso chiedere un ricordo di padre Paolo, del vostro lavoro insieme?

R. - L’attenzione alle persone in particolare. La persona viene prima di ogni altra necessità; viene prima di ogni altra regola. Interesse e attenzione ai bisogni innanzi tutto spirituali, psicologici e umani della persona.

D. - Senza distinzioni ovviamente?

R. - Certo, non ci sono distinzioni tra religioni, tra sessi e appartenenze, ma ogni persona è un mondo a sé nelle sue particolarità e nei suoi bisogni.

D. - Crede che il mondo stia andando verso quell’armonizzazione di grandi tradizioni spirituali e culturali di cui sempre padre Paolo ha parlato?

R. - La pace e l’armonia non vengono, non cadono dal cielo. Quindi noi ce la mettiamo tutta e chiediamo l’impegno di tutti, di tutti coloro ovunque ci sentono, di tutte le religioni, appartenenze, nazioni. Se ci impegniamo per la pace in Siria, il nostro impegno è buono per la pace in Africa; se ci impegniamo per la pace in Italia il nostro impegno  è buono per la pace in Asia e così via. Però bisogna impegnarsi e dare la vita, allora i valori saranno custoditi e sempre vivi nonostante tutte le difficoltà.

 








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