2017-07-31 13:50:00

Scontro Usa-Russia. Putin espelle 755 diplomatici statunitensi


di Giada Aquilino

Possiamo parlare di una nuova Guerra Fredda solo se si afferma che “la Guerra Fredda non è mai finita” o, meglio, che ne conosciamo questa fase ormai “da diversi decenni”. Dario Fabbri, coordinatore per gli Stati Uniti della testata di geopolitica ‘Limes’, commenta così la reazione di molti analisti alla decisione del presidente Vladimir Putin di ridurre il numero dei diplomatici Usa presenti in Russia: ben 755 in meno, in modo da portare la delegazione di Washington a 455 persone, esattamente come quella di Mosca in territorio americano.

La collaborazione con gli Usa continuerà negli ambiti d’interesse per Mosca, ha fatto sapere il Cremlino. Di fatto però ci troviamo “di fronte ad raffreddamento ulteriore dei rapporti bilaterali, iniziato ormai dal 2014”, sottolinea Fabbri. La situazione non è “per nulla cambiata con l’elezione di Donald Trump, perché il presidente americano non ha il potere di cambiare una relazione di tipo strategico”, come quella tra Stati Uniti e Russia, Paese che comunque continuano ad avere interessi “confliggenti”, rimarca l’analista di Limes.

Il provvedimento del Cremlino è giunto dopo le misure adottate a fine dicembre dall'allora presidente Barack Obama che, dopo la denuncia dell'intelligence sulle interferenze di Mosca nelle elezioni presidenziali 2016, espulse 35 diplomatici russi e sequestrò due proprietà russe negli Usa. La scorsa settimana il Congresso ha vincolato il nuovo inquilino della Casa Bianca Trump a non cancellare le sanzioni in vigore. Immediata la reazione di Mosca, a cui dare esecuzione entro il primo settembre: previsto anche il sequestro di una dacia e di un deposito in uso agli statunitensi.

Trump non ha ancora firmato il provvedimento di Capitol Hill, ma il suo vice, Mike Pence, ha assicurato che “lo farà”: di fatto, il presidente si è trovato di fronte parlamentari, anche del proprio partito repubblicano, che non solo gli hanno votato contro per la riforma sanitaria, riguardo all’Obamacare, ma anche per le sanzioni economiche contro Mosca. È un momento particolare per Trump, nota Dario Fabbri, proprio “nella fase in cui un’amministrazione americana normalmente è più potente, cioè il primo anno di vita”. E il Cremlino, aggiunge, si è reso conto “che Trump non potrà cambiare l’aspetto strategico delle relazioni russo-statunitensi”.

Quali prospettive allora per la collaborazione sul terrorismo, sulla crisi in Siria, sul nucleare e sui progetti spaziali? Per Fabbri la collaborazione sul nucleare “potrebbe anche esserci”, perché si tratta di una cooperazione “di tipo tattico” nell’interesse “di tutti e due i Paesi”. Quella sulla Siria, per la quale Mosca e Washington hanno negoziato la recente tregua, rimane “più difficile, perché - spiega - gli interessi in Siria restano confliggenti tra Stati Uniti e Russia e soprattutto perché i due Paesi da soli non possono determinare il futuro di ciò che resta del Siria”. L’obiettivo di Mosca rimane quello di “rendersi importante”, quasi “indispensabile”, per gli Stati Uniti, in modo da “aumentare il proprio potere di negoziazione” in altri dossier strategici.

Ascolta e scarica il podcast dell’intervista a Dario Fabbri:








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