“La disputa felice non serve per battere l’altro interlocutore o per convincerlo che le sue posizioni sono sbagliate, ma per fargli notare quel qualcosa in più che nel suo ragionamento iniziale non c’era”. Bruno Mastroianni, filosofo e giornalista, docente di comunicazione, spiega i contenuti del suo libro “La disputa felice, dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico”, (Franco Cesati Editore), un prezioso manuale che insegna a trasformare gli sterili battibecchi digitali in esperienze costruttive.
La tentazione della parola finale
“La chiave della disputa felice è che nella divergenza
c’è sempre un valore”, spiega Mastroianni. “Abbiamo spesso un’aspettativa sbagliata
nei confronti dei social network: li consideriamo cioè luoghi in cui pronunciare la
parola definitiva su ogni questione. Siamo, in fondo, tutti un po’ complottisti:
di fronte alla complessità della vita siamo tentati di trovare una spiegazione definitiva.
Nei social, nei dibattiti mediatici o negli incontri in società, tendere troppo ad
affermazioni definitive significa però chiudersi alla possibilità di nuove conoscenze.
Bisogna invece entrare in un atteggiamento metodologico che, di fronte alla discussione
di un tema difficile, considera la possibilità di incontrare nuove prospettive. Alcune
di queste possono sfidare la mia concezione del mondo; altre la possono rinforzare:
ma comunque, nella dinamica fra chi è d’accordo con me e chi non lo è, scoprirò cose
nuove. Dissentire felicemente mi dà dunque la possibilità di allargare le mie conoscenze”.
Chi disputa conosce se stesso
“Quando invece dialogo solo con chi è d’accordo come
me – aggiunge l’autore de ‘La disputa felice’ – cado in un effetto di risonanza e
imitazione reciproca. Inizio a parlare con parole chiave e il mio linguaggio e la
mia capacità di argomentare s’impoveriscono, mentre il mondo diventa meno interessante”.
“La tattica giusta per disputare felicemente – prosegue Mastroianni – è uscire dal
proprio mondo e provare ad entrare in quello dell’altro. E soprattutto rendersi conto
come del nostro mondo abbiamo spesso una concezione preconfezionata. L’altro, colui
che sfida il nostro mondo, ci aiuta a capire cosa ci manca. Se noi non sappiamo
comunicare e spiegare ciò in cui crediamo significa che c’è un difetto nella nostra
adesione a quel pensiero. Cioè, la nostra identità quando è sfidata migliora,
perché siamo costretti a capire chi siamo veramente. Disputare e incontrare la differenza
è il modo più immediato per scoprire chi siamo e cosa pensiamo della vita. I social
sono, da questo punto di vista, una grande occasione”.
Oltre il bivio
“Dobbiamo superare il primo istinto: quello di dichiarare
subito se si è d’accordo o no con una certa affermazione. E provare ad andare oltre:
chiederci se abbiamo qualcosa da aggiungere a quella riflessione, rielaborandola.
Bisogna superare la logica del bivio, che è spesso solo una reazione all’orrore per
la complessità. Invece molti problemi restano sospesi ed è inutile trasformarli
in terreno di contrapposizione, stabilendo con l’accetta cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Sono piuttosto occasioni di collaborazione per affrontare insieme i problemi. Anche
perché quando si è in contrapposizione si dimentica l’argomento di cui stiamo parlando
e questo è il male più grande in cui si può incorrere sui social”.
Francescoterapia
“Un altro titolo che avrebbe potuto avere questo libro
è proprio: Francescoterapia”, aggiunge Mastroianni. “Quello che ci ha spiegato
il Papa – infatti – è che le cose si conoscono bene solo da vicino. E’ illusorio avere
una visione distaccata del mondo. Le cose vanno incontrate, toccate, odorate.
Se io voglio capire le ragioni dell’altro devo entrare nelle sue argomentazioni. Il
lato della relazione con l’altro è preminente rispetto ai contenuti. Succede anche
a noi con le persone con cui discutiamo. Finché non entriamo nel loro mondo, anche
se ci sembrano ostili o hanno palesemente torto, non riusciremo a stabilire una comunicazione
proficua. Ogni volta che stigmatizziamo qualcuno come ignorante e lo lasciamo andare,
abbiamo regalato un altro consenso al populismo. Oggi servono dispute felici che creino
legami e avvicinamento”.
Si può fare!
“Siamo in un momento storico in cui c’è la tentazione
di rinunciare, chiudere tutto e tirarsi fuori dalle discussioni sul web. Oppure chiediamo
che ci sia una regolamentazione dall’alto, una censura”, sottolinea Vera Gheno,
sociolinguista specializzata in Comunicazione mediata dal computer, autrice
della prefazione del libro ‘La disputa felice’. “Ci si concentra molto meno – aggiunge
- sulla responsabilità del singolo. Come utente dei social e come docente di comunicazione
sono invece convinta che si può cercare di crescere come utenti della rete.
La disputa felice non è semplice: richiede molto sforzo, molta autocritica. Ma con
costanza e pazienza si possono raggiungere dei risultati. E’ una prospettiva
di lunga durata e certo questo libro non è la panacea di tutti mali. Diciamo che è
un mattone importante per cominciare un percorso”. “Mi ero resa conto - prosegue la Gheno - che in vent’anni di frequentazione
della rete avevo accumulato soprattutto ‘nemici’. Poi, ho capito che non sono nemici,
ma semplicemente persone con un punto di vista diverso. Spesso, siamo convinti
che sia bello comportarsi da polemisti combattivi, carichi d’ironia sferzante e cinismo.
Poi, però, si resta con l’amaro in bocca e questo modo di comunicare lascia
un clima negativo. E invece importante lasciare in ogni conversazione un piccolo seme
positivo”.
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