“Basta battere il tamburo di guerra”. È il titolo della dichiarazione firmata da mons. Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos, e da mons. William Amove Avenya, vescovo di Gboko, rispettivamente presidente e segretario della Conferenza episcopale della Nigeria, che, a nome di tutti i vescovi nigeriani, esprimono forte preoccupazione per lo stato della Federazione Nigeriana, attraversata da forti tensioni etniche, secessioniste e sociali a 50 anni dalla scoppio della guerra del Biafra (1967-1970). Proprio facendo riferimento a quel conflitto - riferisce l'agenzia Fides - i vescovi ammoniscono “dobbiamo imparare dalla tragica esperienza della guerra civile, con la distruzione di un gran numero di vite e di proprietà e i cui effetti si possono ancora notare ai nostri giorni” per evitare che le attuali tensioni sfocino in una nuova tragedia nazionale.
Agitazioni etniche e regionali si sono aggiunte alle precedenti tensioni
politiche, religiose, etniche e sociali
“Senza dubbio - scrivono i vescovi - negli ultimi due anni la vita nazionale nigeriana
ha visto l’aumento di agitazioni etniche e regionali che si sono aggiunte alle precedenti
tensioni politiche, religiose, etniche e sociali”. Queste tensioni “ tracciano il
quadro di una nazione agitata nella quale diversi componenti della popolazione
si sentono esclusi o emarginati”.
L'esclusione della popolazione giovanile causata dalla corruzione della
classe politica
Tra gli esclusi vi sono in particolare vasti strati della popolazione giovanile. “Non
è un segreto per nessuno che la situazione della Nigeria non appare promettente alle
giovani generazioni” afferma il documento. “Questo è causato dalla monumentale
scala di avidità e di corruzione della nostra classe politica più anziana che continua
a provocare rabbia e sdegno nei giovani. La democrazia viene rafforzata quando
la classe politica, le elite e gli anziani raggiungono un consenso per garantire la
coesione nazionale e un senso di appartenenza inclusivo di tutti”. “Coloro
che si sentono emarginati o oppressi non devono però trarre un indebito vantaggio
della libertà di espressione, esprimendo dichiarazioni incendiarie che minacciano
l’unità e la sopravvivenza del Paese” avvertono i vescovi.
“Basta battere il tamburo di guerra"
La guerra è un vento malato che porta a nessuno alcune beneficio. Dobbiamo impegnarci
in forme più costruttive di comunicazione e di dialogo all'interno di un quadro democratico
che respinga il pregiudizio, l'intolleranza o l'esibizione di un senso di superiorità
sugli altri” concludono i vescovi. (L.M.)
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