2017-09-02 15:00:00

Nunzio in Colombia: Francesco aiuterà a costruire il futuro del Paese


di Giada Aquilino

Un viaggio in cui Papa Francesco potrà invitare “a non cadere nei tentacoli della corruzione, della polarizzazione”, equilibrando “verità” e “misericordia” per rompere con un passato contraddistinto da oltre 50 anni di guerra e violenze da parte delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia, con almeno 260 mila morti, più di 60 mila dispersi e oltre 7 milioni di sfollati e profughi. È la lettura dell’arcivescovo Ettore Balestrero, nunzio apostolico in Colombia, dell’ormai imminente viaggio apostolico del Pontefice nel Paese latinoamericano, dal 6 al 10 settembre prossimi, con rientro a Roma Ciampino l’11 settembre. Il presule non nasconde che la realtà colombiana sia ancora fatta di “violenza” e “narcotraffico”, che la società sia macchiata tutt’oggi di contrasti “di tipo urbano” e “inter-familiari”, che le azioni dell’Eln, l’Esercito di liberazione nazionale, al momento non siano un capitolo chiuso: quello che più conta, sottolinea l’arcivescovo Balestrero, è che abbiano fine al più presto “i sequestri, l’arruolamento dei bambini, gli attacchi alle infrastrutture vitali del Paese e anche tutta la semina delle mine anti-persona”. Eppure il Papa, assicura il nunzio, troverà un Paese ricco di “risorse naturali ed umane” che “sta conoscendo e vivendo un notevole sviluppo economico”, capace - anche grazie al sostegno della Chiesa - di “costruire un futuro equilibrato, un futuro rispettoso di Dio e degli uomini”. La prova sta nell’impegno che si sta fornendo a chi, in queste settimane, fugge dalla fiammata di violenza in Venezuela: le diocesi della frontiera, anticipa mons. Balestrero, intendono “unirsi tutte in un piano pastorale di emergenza” per il soccorso ai migranti.

D. - Mons. Balestrero, come inquadrare la visita del Papa in Colombia, in un momento davvero cruciale per il Paese?

R. – Il Papa viene come un pellegrino di speranza e di riconciliazione. È atteso ovviamente con una grande gioia, come l’amico che può aiutare a compiere un passo: un passo verso Dio - e quindi verso i fratelli - per donare amore, per costruire ponti. Il Papa in un Paese come la Colombia sicuramente inviterà a non cadere nei tentacoli della corruzione, della polarizzazione, equilibrando la verità e la misericordia per la costruzione della nuova Colombia.

D. – Gli oltre 50 anni di conflitto armato che Paese hanno lasciato dal punto di vista sociale ed economico? In questo momento è finita la consegna delle armi; è in corso la trasformazione delle Farc; la questione delle terre è ancora in piedi; il narcotraffico va avanti…

R. – Questi 53 anni hanno lasciato certamente delle ferite, però anche una grande saggezza e hanno plasmato una viva speranza nel popolo. La Colombia è oggi un Paese in grande trasformazione, ormai più urbano che rurale, che sta chiudendo un capitolo del suo conflitto con le Farc ma non ha ancora chiuso quello dell’attuazione dell’accordo con loro. Quindi è un Paese che purtroppo conosce ancora il problema della violenza, del narcotraffico; e che però, nonostante tutto questo, sta conoscendo e vivendo un notevole sviluppo economico; possiede moltissime risorse naturali ed umane e con queste può ambire ad agganciare quelle che sono le sviluppate democrazie occidentali. Però evidentemente conosce anche le debolezze e le tentazioni di quelle stesse democrazie. Ed è per questo che la visita del Papa può aiutare a costruire un futuro equilibrato, un futuro rispettoso di Dio e degli uomini.

D. – Lei ha citato il percorso di pacificazione con le Farc. Diciamo che tra l’altro è iniziato, più recentemente, il dialogo con l’Eln…

R. – Quello che più conta è che abbiano fine al più presto tutte le violenze di questo gruppo e in particolare i sequestri, l’arruolamento dei bambini, gli attacchi alle infrastrutture vitali del Paese e anche tutta la semina delle mine anti-persona. Perché credo che solamente così la volontà di cambiare diventi credibile.

D. – Qual è stato il ruolo della Chiesa nel cammino verso la pace?

R. – La Chiesa è chiamata ad accompagnare da vicino il suo popolo, proprio come hanno fatto il parroco di Armero e il vescovo di Arauca, che sono stati uccisi in odio alla fede e che il Papa beatificherà proprio durante questo viaggio, a Villavicencio. Ora, per quello che riguarda specificamente le Farc, la Chiesa non è stata parte del negoziato, però ha voluto collaborare in alcuni aspetti, tra cui uno molto delicato: prendere coscienza che le vittime devono stare al centro della soluzione del conflitto.

D. – Ha ricordato i due martiri colombiani. Poche settimane fa è stato ucciso un altro giovane sacerdote: come inquadrare queste violenze? In una sorta di scontro ancora in atto per il narcotraffico, in un’azione della guerriglia, della criminalità, dei paramilitari?

R. – Purtroppo la violenza in Colombia non è finita perché ci sono diversi attori e agenti di violenza. Però indubbiamente le violenze negli ultimi anni - e soprattutto nell’ultimo anno - sono scese vorticosamente, in particolare quelle provenienti dalla guerriglia. D’altro canto, ci sono altre forme di violenza che purtroppo erano e continuano ad essere presenti, come le violenze inter-familiari, di tipo urbano… E queste richiedono uno sforzo da parte di tutti e una maggiore coerenza tra la fede e la vita dei colombiani.

D. – Il Papa incontrerà vittime ed ex guerriglieri: sarà il suo un messaggio di pace, che quindi potrà varcare i confini della Colombia?

R. – In modo particolare lui pregherà a Villavicencio davanti al Crocifisso che nel 2002 ha presenziato il massacro di Bojaya. E pregherà anche affinché tutti coloro la cui dignità è stata violata e che, ferendo il prossimo, hanno ferito anche la propria dignità, con il proprio pentimento possano comprendere che la misericordia di Dio è per tutti, però occorre una collaborazione da parte di tutti per forgiare un futuro di speranza. E questo credo sia un messaggio che vale per la Colombia ma anche per tanti altri Paesi di questa regione.

D. – In Colombia si vive un momento di emergenza migratoria, in particolare dal Venezuela. Che contatti avete con la Chiesa venezuelana a tal proposito e che speranze ci sono?

R. – Personalmente, sono un testimone ammirato dell’impegno con cui le diocesi colombiane e venezuelane, soprattutto quelle di frontiera, stanno collaborando intensamente per far fronte a questa emergenza migratoria. Per esempio, la diocesi di Cúcuta e di San Cristóbal, la prima in Colombia, la seconda in Venezuela: le diocesi della frontiera infatti vogliono unirsi tutte in un piano pastorale di emergenza. Per affrontare questa situazione si stanno offrendo continuamente aiuti di prima necessità e anche di carattere giuridico ai venezuelani che arrivano in Colombia. Si vogliono invitare i colombiani a vedere Gesù Cristo in questi fratelli e quindi a considerare questi fratelli non come una possibilità di commercio ma come un Cristo che ha bisogno di essere aiutato, di essere alimentato e sostenuto.

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