2017-09-07 13:50:00

Francesco nella terra colombiana: ultimo passo di una lunga storia


di Alessandro De Carolis, inviato in Colombia

Lo hanno fatto in tanti lungo la sua storia. Brandendo un archibugio, innalzando una croce, spianando un mitra, difendendo gli schiavi, vendendoli, trafficando coca, spargendo speranza. In tanti hanno cercato “il primo passo” sul suolo che fu dei contadini indios Muisca fin quando, all’alba del Cinquecento, il Vecchio mondo è sbarcato sul Nuovo e la storia qui e in tutto il Latino America si è azzerata e ripartita.

Si sono contati tanti primi e secondi passi, passi da predatore o inermi, diretti verso i recinti di tanti beni privati o aperti senza calcoli al bene di tutti.

Cinque secoli e una manciata d’anni data la storia della Colombia, dal giorno in cui – è il 1499 – lo spagnolo Alonso de Ojeda ne scopre il primo lembo e spalanca ai conquistadores una terra dalle mille facce, dominata a nord dalle pianure delle Llanos - sorta di savana paludosa -  e dalla verde imponenza dell’Amazzonia a sud e dalla spina dorsale delle Ande a oriente. Da quell’approdo tanti primi passi modellano la Colombia che sarà, con la prima città fondata nel 1525 che, curiosamente, porta un nome caro al Papa che viene pellegrino: Santa Marta. Nel 1534 tocca alla prima pietra di Cartagena, sull’Atlantico. Quattro anni dopo 12 capanne, in onore degli Apostoli, sono il nucleo fondante di Santa Fe de Bogotà, che già custodisce in quell’originario dna il destino di diventare la capital.

La Chiesa muove i primi passi in quegli stessi anni e negli stessi luoghi. Domenicani e Francescani sono l’embrione del Vangelo che si diffonde e incultura tra gli indios, cementando altrove il tessuto sociale di matrice spagnola e innervando più avanti la cultura e l’anima meticcia. Il Vaticano è lontano ma meno di quanto si creda, proprio perché i velieri che passano l’Atlantico portano notizie di comunità cattoliche in crescita al punto che nel 1837 matura il primo passo,un record, per la “Repubblica di Gran Colombia”, com’era denominata: quello di essere il primo Paese ispano-americano ad avere un rappresentante diplomatico presso il Papa di Roma.

Il Novecento vede il primo, lungo passo della guerriglia marxista, che incendia gli animi con una promessa di libertà creduta e cantata nelle roccaforti guerrillere nella giungla, ma poi capace solo di insanguinare per 50 anni la nazione che voleva ricostruire. Giovanni Paolo II fa il suo primo passo in Colombia proprio in quell’epoca – quando sembra che tutto nel Paese sia del nuovo conquistador, il re del narcotraffico Pablo Escobar – e per il resto si giochi la solita guerra a passo di gambero tra esercito e i paramilitari delle Farc e dell’Eln: morti ammazzati di qua e di là e propaganda che in realtà maschera vittorie di Pirro sui due fronti.

Anche l’utopia della pace, prima che una generazione la ritenga una svolta possibile, compie il suo primo passo in questi frangenti e lo fa soprattutto grazie alla voce della Chiesa, che come tutti piange i suoi morti, quasi un centinaio tra l’84 e il 2011, gli anni più cruenti. La Settimana per la pace viene lanciata dai vescovi a metà degli anni Ottanta, dal 2000 partono i Congressi per la riconciliazione nazionale. Infine la storia dei giorni nostri, un lunghissimo negoziato che sfocia nella firma del 23 giugno 2106. Ma tra i tanti primi passi, dopo troppi indietro, che finalmente portano all’Accordo siglato all’Avana vanno ricordati quelli di Papa Francesco, che idealmente, con i suoi appelli e messaggi, è già da tempo partito per la Colombia. E adesso ci mette piede per “fare il primo passo”, ampio, che parla di inclusione e unità. Perché l’ultimo dei conquistador è il Papa del perdono.








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