2017-09-07 12:15:00

Milano, vescovo Delpini: "La società va costruita insieme"


"Non è un’impresa solitaria fare il vescovo di Milano, è un’impresa corale". Il 9 settembre Mons. Mario Delpini, prende possesso canonico della diocesi. Ai nostri microfoni, illustra le priorità pastorali e come metterà in pratica l'invito del Papa per una ‘Chiesa in uscita’.

"L'invito di Francesco a una Chiesa in uscita è un richiamo che ha avuto molta eco e forse il rischio è che diventi una espressione retorica poco comprensibile. La Chiesa di Milano è già capillarmente presente sul territorio. Credo che il richiamo del Papa in questo senso sia un richiamo alla conversione, a un atteggiamento che deve vincere le paure, le inerzie". Tra le preoccupazioni dei milanesi oggi, sulle quali la Chiesa vuole adoperarsi in via prioritaria, c'è sicuramente il riferimento a Dio. "Mi pare che l’esito di questo indebolirsi del riferimento a Dio sia lo smarrimento riguardo alla speranza e la perdita di stima di sé, non sentirsi vivi per uno scopo, per una vocazione, per una missione. Altra sfida ineludibile è quella del lavoro". Il presule spiega come Milano - da sempre luogo di grande laboriosità - non sia passata indenne con la crisi che ha segnato duramente tutto un sistema produttivo. "Infine - dice Delpini - metterei l’impegno a creare un tessuto di buon vicinato, che tutta la gente di un territorio impari a conoscersi, ad avere un sentimento solidale, vincendo l’anonimato e la solitudine, tra le malattie più diffuse in una metropoli". 

Una preziosa eredità da raccogliere

Nel ricordare i Pastori che lo hanno preceduto alla guida della diocesi ambrosiana, Delpini racconta di essere diventato prete con il cardinal Colombo, del quale vorrebbe custodire l’impostazione organizzativa della Chiesa di Milano, coerente con la tradizione ma anche capace di adeguarsi alle necessità alle esigenze di una popolazione che cresce, come all’epoca. Il cardinal Martini lo ha chiamato alle diverse responsabilità, con lui è diventato Rettore del Seminario di Milano: "Mi ha insegnato soprattutto quella intensità nel leggere la Parola di Dio e quella abitudine a vivere una dimensione spirituale profonda, di non essere mai reattivo in modo spontaneo, affrettato, ma sempre pronto a coltivare una capacità di meditazione, riflessione, di interazione con l’interlocutore. Mi ha insegnato anche quell’arte di far emergere dall’interlocutore il meglio che c’è. Del cardinal Tettamanzi ricordo quella cordialità che lo portava ad essere vicino alle persone e, nello stesso tempo, quella individuazione delle ferite particolarmente presenti nel territorio e quindi una lettura della situazione che spinge a un rilancio della missione mettendo in atto delle riforme, dei cantieri aperti. Il cardinal Scola, infine, è colui che ha avuto la consapevolezza di dover fare i conti con la modernità e di dover custodire il tesoro del Magistero ecclesiale con l’impegno ad argomentarne la bellezza".

Come può rispondere Milano, la più grande diocesi del mondo e la più vicina al cuore geografico d’Europa, alla sfida dell’immigrazione?

"E’ una problematica complessa perché è in atto la tendenza a fare di ogni erba un fascio", risponde il nuovo arcivescovo. "A Milano gli immigrati ci sono da decenni, lavorano, sono una presenza necessaria in alcuni settori, credo che non potremmo fare a meno di loro. Forse l’intera società milanese si sgonfierebbe se non ci fossero persone di altri Paesi. Il capitolo dell’immigrazione in questo momento mi pare estremamente confuso con l’altro capitolo che è quello dei profughi, sono sempre sulle prime pagine dei giornali come un pericolo, un problema. A me sembra che siano capitoli molto diversi. Milano ha accolto molti immigrati: negli anni sessanta dal Sud, dall’Est Europa poi, ora dall’Estremo Oriente e dal Sudamerica, dall’Africa. Mi pare che percorsi di integrazione significativi sono stati avviati e sono in atto. Il tema dei profughi è un problema diverso che effettivamente forse deve essere ripreso daccapo - sottolinea - bisognerebbe proprio trovare un altro modo di affrontare la questione rispetto a quella che si sta attuando adesso, senza l’animosità e le paure che, del resto, pure sono inevitabili. Bisogna trovare una modalità più pacata e anche delle soluzioni più persuasive. A me non sembrano tanto convincenti queste soluzioni di emergenza che lasciano troppe energie inutilizzate, che investono molti soldi in un’opera che non mi sembra sia capace di affrontare la questione in modo promettente". E conclude: "Credo che al centro ci sia la riflessione sul tipo di società che l’Europa vuole essere domani. E’ questa la cosa più interessante a cui pensare. La democrazia continuerà a essere il modo di organizzare la società civile se si rivelerà capace di essere costruita insieme".








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