2017-09-07 12:11:00

Terra Santa. Mons. Pizzaballa: si vuole indebolire la presenza cristiana


"Un tentativo sistematico di minare alla base l'integrità della Città Santa e della Terra Santa, e di indebolirvi anche la presenza cristiana''. E' quanto si legge nel documento firmato dai massimi rappresentanti di tutte le Chiese e comunità cristiane di Gerusalemme, in opposizione a “qualsiasi azione” messa in atto da “qualsiasi autorità o gruppo” che possa violare o minare “leggi, accordi e regolamenti che hanno disciplinato la nostra vita per secoli”.

A riaccendere la polemica sul già delicato status quo che regola la convivenza tra comunità religiose nella Città Vecchia di Gerusalemme, la sentenza con cui la Corte israeliana, a inizio agosto e dopo un lungo contenzioso, ha respinto le iniziative legali con cui il patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme aveva tentato di far riconoscere come “illegali” e “non autorizzate” le acquisizioni di alcune sue proprietà da parte dell'organizzazione ebraica Ateret Cohanim.

Tra i firmatari, Teophilos III, patriarca greco ortodosso di Gerusalemme, ma anche padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa e l'arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, che al microfono di Emanuela Campanile spiega i particolari di questa complessa vicenda che ha portato alla forte presa di posizione dei 13 rappresentanti:

R. - C’è un background, un retroterra, e poi ci sono dei fatti concreti. Il primo dipende da tanti elementi, non soltanto dalle questioni politiche: il numero dei cristiani a Gerusalemme è ridotto al lumicino – siamo tra gli 8 e i 10mila cristiani non cattolici, quindi tutte le diverse denominazioni - sono numeri veramente molto piccoli e, ripeto, dipende da tanti fattori. Già questo ci rende molto sensibili e vulnerabili. Ci sono stati poi certamente errori da parte delle Chiese che hanno fatto dei contratti sbagliati su alcune proprietà  - mi riferisco al patriarcato greco-ortodosso – documenti che sono andati perduti. Ma soprattutto a una proposta di legge al Knesset che già 40 parlamentari hanno firmato, una proposta che quindi potrebbe andare avanti, che impedisce esplicitamente alle Chiese cristiane di vendere senza consenso dello Stato, del governo, il quale avrebbe diritto di prelazione, diritto di interferire all’interno della vita delle chiese. Questo è molto grave e da parte nostra abbiamo sentito il bisogno di alzare la voce.

D. - Quindi non ci sono mai stati dei precedenti...e se fosse approvata questa bozza di legge le cose per voi cambierebbero in modo drastico?

R. - Sì. Tenga presente che Gerusalemme è una città, dal nostro punto di vista come cristiani, che deve essere aperta a tutti: ebrei naturalmente, musulmani, ma anche cristiani. Uno dei modi per esprimere la propria presenza passa proprio attraverso le proprietà, attraverso una presenza anche fisica. Quindi per noi questo aspetto è importante. È vero, bisogna dire con onestà, che nel passato – anche recente – le Chiese non si sono sempre comportate bene; ci sono stati episodi discutibili di cessione di proprietà, forse anche un po’ di corruzione … Insomma, ci sono stati problemi che, quindi, devono essere corretti, però quella proposta di legge dice: “Tutte le Chiese e solamente le Chiese”; non è una legge generale, ma riferita esclusivamente alle Chiese che sono sentite come straniere ed estranee. Questo ci ha costretto ad intervenire in maniera forte.

D. - Quando nel documento si parla di “delicato status quo”, a cosa si fa riferimento?

R. - “Status quo” è un termine molto generico e soprattutto a Gerusalemme ce ne sono tanti e diversi. In questo caso si riferisce al fatto che Gerusalemme e le autorità della città hanno sempre rispettato le diverse presenze religiose – ebrei, cristiani e musulmani - ciascuno nel proprio ambito, hanno potuto esprimersi all’interno dei loro rispettivi contesti. Ora, entrare, impedire ai cristiani di usare in maniera libera le loro proprietà o riuscire ad acquisire proprietà anche importanti della Chiesa tocca un po’ questo status quo, cioè questo equilibrio molto delicato tra le diverse comunità.

D. - Ma alla fine chi ne gioverebbe se si venisse a scomporre, a scompaginare un equilibrio che dura da secoli per quanto delicato appunto?

R. - Gli equilibri sono sempre cambiati. Non c’è nulla di più mobile dello status quo onestamente; dipende anche dall’autorità de momento, dai periodi storici: un conto era ai tempi degli ottomani, un conto con i giordani, un conto con gli inglesi, israeliani … Per cui, è anche inevitabile che se c’è vita ci siano anche dei cambiamenti, però devono essere fatti all’interno di un contesto di rispetto e di dialogo. Questa è la mia opinione che esprimo solo a titolo personale, naturalmente. Adesso, tenendo presente da un lato che il numero dei cristiani è ridotto al lumicino, dall’altro lato tutte queste sentenze dei tribunali, le leggi alla Knesset, la piccola comunità cristiana si sente assediata ed ha sentito il bisogno di alzare la voce.

D. – Ultimamente la Giordania si è riconfermata, almeno così è stato dichiarato, come il luogo che custodisce i Luoghi santi sia musulmani che cristiani. Voi potete in qualche modo contare sull’aiuto di Re Abdallah II?

R. – La Casa reale giordana (costitutivamente) è responsabile dei luoghi santi dei musulmani e si sente, in gran parte, legata al mondo cristiano e in un certo senso custode dello status quo di cui si parlava. È un referente per noi autorevole ed importante, ma non è l’unico, perché gli altri referenti sono lo Stato di Israele e la Palestina.








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